(Cut 2007)
Elettroacustica da trincea; elegante e caparbia.
Signal
Quintet è progetto che non sbanda in curva.
Impro
acusmatica da sogno, wild bunch che coinvolge Jason Kahn,
Tomas Korber, Norbert Möslang,
Günter Müller
e Christian Weber.
Registrato dal vivo in Giappone presso
lo Yamaguchi Center For Arts And Media, “Yamaguchi”
succhia linfa vitale dal tour nipponico del 2006 che su etichetta For
4 Ears ci ha regalato i poco meno che sublimi volumi della
serie “Signal To Noise”.
“Yamaguchi” è
ribollire essenziale di visioni oblique al limitar del
silenzio.
Silenzio corrotto e disturbato; strattonato e
lusingato.
Intromissioni aliene, orgia di segni che si manifestano
tramite l’ausilio di percussioni, synth analogici, chitarre,
elettronica varia ed assortita, contrabbasso, ipod e altri oggetti ed
attrezzi alchemicamente incatalogabili.
Diluizione elettroacustica
appunto, di classe infinita, intromissioni acustiche (Weber ed il suo
contrabbasso) ammirevoli (l’oscurità appiccicosa del secondo
episodio, il battere frizionato delle corde…), elusiva ed aerea
come altrimenti non potrebbe essere, ma priva di sovrastrutture
concettuali zavorranti.
Dovessi scegliere un termine per
descrivere il tutto, non potrei che sceglier che: sobrio ed
essenziale.
Una bellezza obliqua, che può esser denigrata e
bollata come antiquata,
eppure anche ad un orecchio non abituato a certi materiali;
non potrà sfuggire la brillante ed efficace compenetrazione
fra i suoni.
Perché la classe dei giocatori coinvolti non
si discute, puri e tosti; veterani ed al contempo reduci di una scena
sempre più asfittica.
Sbaragliano letteralmente il campo
affidandosi a scricchiolii sinistri, nubi incombenti bassose,
feedback taglienti e lontani, divagazioni acustiche in odor di jazz,
assalti in divenire che ti fanno temer per l’incolumità ma non
giungono mai a lederti realmente (leggi come: romperti i
coglioni).
Essenziale stato dell’arte.
Improvvisazione organica
che adeguatamente documenta il loro primo tour, che ci ricorda che
questi signori piuttosto tranquilli e visivamente bonari e
paciocconi, son dei portatori d’acqua che si avventurano in territori
impervii dalla fine degli anni settanta.
Ricordare sigle storiche
come Voice Crack e Poire_z è
obbligo, dare coordinate connettive dove incontrarli (oltre le
singole carriere solistiche…); è altro obbligo.
Tetuzi
Akiyama, Dieb 13, Anold Dreyblatt, Kevin Drumm,
John Hudak, Brandon Labelle, Jason Lescalleet,
Christian Marclay, Steve Roden, Taku Sugimoto,
Otomo Yoshihide, Lê
Quan Ninh, Alessandro Bosetti, Sachiko M, Keith
Rowe, ErikM, Steinbrüchel,
Lionel Marchetti, Oren Ambarchi, Jim O’Rourke, Lol
Coxhill, Elliott Sharp; altri che colpevolmente dimentico
e tralascio.
Non vi sembra un’incredibile raccolta di nomi?
Ognuno
di questi ha avuto a che fare con i vari membri del Signal
Quintet; buon segno non vi pare?
La bellezza del passaggio dal
rabbioso analogico all’acustico del terzo brano, una linea jazz che
spunta fuori sfinita dopo la tormenta e, si accascia stremata al
suolo, piccoli fantasmini fluttuanti a svolazzar sopra il corpo
abbandonato..
Incredibile ed ammaliante.
Siam dalle parti
dell’eccellenza pura.
Cupa gemma insabbiata.
Possederlo ed
ammirarlo è tutt’uno.
Voto: 8
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