(Words On Music 2008)
A sei anni di distanza dal precedente, meraviglioso “Coalesced” (del quale all’epoca ci siamo diffusamente occupati), si rifanno vivi, con un nuovo album intitolato ‘Shade side sunny side’, gli americani For Against.
Fino a qualche anno fa criminalmente ignorata, pur rappresentando il nesso ideale tra la scena new wave/darkwave della fine anni Settanta e quella dreampop/shoegaze di fine anni Ottanta/inizio anni Novanta, la band è tornata prepotentemente alla ribalta nel corso di questi ultimi anni, grazie alla meritoria opera, intrapresa dalla benemerita Words On Music di Minneapolis, di recupero e riproposizione (in versione rimasterizzata ed arricchita con materiale inedito d’epoca) dell’intero catalogo del gruppo, tutt’ora in corso e che fino a questo momento ha consentito di sottrarre alle polveri dell’oblio i seminali ‘Echelons” (1987), “December” (2005) e “In the Marshes” (2007), quest’ultimo divenuto per la prima volta disponibile si formato digitale.
Il nuovo ’Shade side sunny side’ si fa innanzitutto notare per il ritorno nella line-up della band di Harry Dingman III, originario chitarrista nonché fondatore del gruppo nel 1984, insieme con il bassista Jeffrey Runnings.
Il ritorno di Dingman segna un recupero delle sonorità più tipiche degli esordi dei For Against, che affondavano le proprie radici nel sound dei Joy Division, dei Cure dei tempi di ‘Sventeen seconds’ e ‘Faith’, della Factory Records della prima ora (qui omaggiata con una versione di ‘Friendly fires’ dei Section 25) e dei Chameleons.
Lungo queste coordinate si collocano infatti brani cupi ed inquieti quali Aftertaste, Glamour e Quiet please, oltre alla poc’anzi citata cover, mentre altrove (Underestimate, Why are you so angry) riecheggia la poetica e agrodolce melanconia che pervadeva il precedente ‘Coalesced’.
Un ideale incontro tra i For Against degli esordi e quelli degli anni più recenti pare avere luogo nelle complesse ed eterogenee trame sonore di Irresistibile, Spirit lake (che si dipanano con un continuo alternarsi di momenti di sognante e fragile dolcezza ad acerbe irruzioni di rumore e riverberi) e, soprattutto, nell’audace ma riuscitissima giustapposizione, in Game over, del solitario pianoforte che accompagna la voce di Jeffrey Runnings e delle poderose, distorsioni, dalla verticalità quasi gotica, che, alternandosi al primo, promanano dalla chitarra di Dingman.
Un’ennesima prova di grandezza da parte di questa formazione, che vorremmo tanto fosse un po’ più prolifica e ci deliziasse con simili bellezze con maggiore frequenza.
Voto: 8
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Autore: a.crestani@yahoo.com