(Burp Publications 2008)
‘Now’ a suo modo è stato una bomba, fuori
schema, fuori asse; stimolante insomma.
Stomaco e cervello più
che soddisfatti in quell’occasione.
Casa/base Burp ha
continuato a sfornare delicatezze spinose.
Una meraviglia, in
parte; sempre per troppo pochi.
Questa pare essere la
maledizione.
‘Again’ allora conferma e rilancia.
Per
qualità e quantità calorica prodotta/espressa, dovrebbe
entrare difilato ai primi posti delle hit parade; sarebbe perfetto;
più che meritato.
Anche perché, volenti o dolenti;
Jealousy Party scava un solco.
E lo scavo pare appena
cominciato.
Come l’avvento dei Sinistri (la spremitura
ritmica, l’osso che ne rimane…), uno shock nel panorama d’epoca
(anche attualmente unici…).
E vien il dubbio, la certezza, la
conferma, che di Jealousy Party, in giro per il mondo non è
che ce ne siano poi cosi tanti.
Allora diciamo, che questo lavoro
marca la differenza, non è questione di esser bello o
brutto, è uno scarto; semplicemente.
Scarto che lascia
annichiliti, che rende obsoleti vari materiali altrui, marca la
differenza appunto.
E ridisegna le mappe, cosa, come; dove.
La differenza che intercorre fra la ciccia vera ed una
polpetta vegetale rinseccolita.
Come lo Zorn che trattava
il grind; più o meno ci siamo.
Qualche Jealousy se ne è
andato; altri se ne sono aggiunti.
La pasta comunque è
sempre quella.
Rispetto a ‘Now’, pare esser stato
messo a fuoco maggiormente l’impatto ritmico, disgregazione continua
(molto Sinistri appunto…), i fiati sfiatano che è una
bellezza, Matt Pogo c’è, cazzo se c’è, Phil
Minton pare lentamente scomparire dall’orizzonte, molto più
nero nell’emissione, la chitarra strimpella di sbieco (no wave
dietro l’angolo), l’elettronica strappa, ricuce, sbrindella,
s’abbatte di pensiero non torvo industriale, poi passa a scaricar
bordate cubiste a stento trattenute, strappa, ricuce ed aggredisce,
poi scompare anche volendo; tutto gira alla perfezione.
L’inserimento
delle cover facilità la comprensione di quel che accade nella
visione Jealousy, Kevin Coyne, Steve Lacy, Duke
Ellington e Charles Mingus, scorron via come ami messi a
penzolare; noi felici abbocchiamo.
Impro, senz’altro, ma ad un
livello subumano, inaudita opera di arrangiamento immediato che
lascia il segno.
Linee funk secche e pestate, accenni lunari,
parossismi di matrice industrial/rock (mi odieranno per questo…),
l’hip hop dietro l’angolo (anche meno…), batti e ribatti mi vien in
mente una versione cinico/apocalittica virata in salsa
impro/avant/jazz/blues (o altre sigle di vostro gradimento…) dei
Public Enemy.
Jealousy Party sono, semplicemente; oltre.
Ne
più, ne meno.
Necessario l’ascolto.
Voto: 8
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