(Walllace Records/Audioglobe 2008)
Ennesimo lavoro, tra album, compilation e progetti paralleli, del trio italo-francese formato da Francois Cambuzat, Chiara Locardi e Jacopo Andreini.
Ennesimo lavoro ed ennesimo viaggio, dato che, come i precedenti, il disco eredita il titolo dai punti di partenza e di arrivo di un percorso fisico, emotivo e, naturalmente, sonoro: un ponte costruito tra le rive del Mediterraneo, la punta sud dell’Europa da un lato e l’Africa settentrionale dall’altro, rappresentata dal porto tunisino di Halq Al Waady.
Grazie agli arrangiamenti di Mohamed Abid e della sua Orchestra Nazionale de la Rachidia, le sonorità di strumenti tipici quali oud, qanun e darbouka si fondono in una matrice rock che, per quanto avant e lontana dallo standard imperante, ha l’occidente nel DNA: un post punk dal mood più nero della notte, basti ascoltare l’overture di Otranto e il monolite Tombeau pour New York (già presenti in altre vesti in “Rostok-Namur”); abbondano anche le sfuriate noise (le esplosioni chitarristiche di Ras El Ahmar e Azizati), che comunque non scalfiscono affatto il fascino, l’eleganza e l’evocatività di queste melodie folk mediterranee, anche grazie alla poeticità della lingua francese, ormai verbo preferito de L’Enfance Rouge, rabbiosa in Cambuzat (Lame de Fond), amara e viscerale quella di Chiara Locardi (Nous e Petite-Mort), ma in entrambi i casi col calore e la sabbia del deserto in gola.
Un viaggio verso nuove lande che inizia con Oxbow, Waits e il primissimo Nick Cave al sicuro in valigia e che man mano si addentra a fondo nel folklore locale, fino a perdersi nelle nebbie dense di Hurricane Lily e della conclusiva, interminabile Petite-Mort.
L’Enfance Rouge rappresenta il lato buono della globalizzazione, l’apertura verso altre culture priva di ipocrisia e di interessi che non siano quelli della comunicazione, della ricerca musicale e culturale, dell’arte: QUESTA è la vera world music.
Voto: 8
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Autore: alealeale82@yahoo.it