Di Marco Loprete
Professore di filosofia all’Università di Grenoble e stimato saggista, Gilles Lipovetsky è quello che può definirsi un esperto di trasformazioni socio-culturali del mondo contemporaneo, con particolare attenzione a fenomeni come la moda, il lusso ed il consumo.
E proprio intorno a questi tre argomenti ruota la sua ultima fatica letteraria, “Il tempo del lusso”, pubblicato dalla Sellerio. In questo godibilissimo ed acuto libricino (poco più di ottanta pagine), Lipovetsky traccia una sorta di “storia del lusso”, illustrando in che modo è cambiato nel corso del tempo il concetto del voluttuario, in una disamina che parte dalle società del neolitico e giunge sino ai giorni nostri.
Il punto di partenza delle riflessioni dell’autore è la consapevolezza che, come scrive Gianni Puglisi nella prefazione, «parlare oggi di lusso è sostanzialmente la stessa cosa che discutere intorno ai fenomeni di moda», per via di una «strisciante convergenza» che rende impossibile separare i due argomenti, a testimonianza di quanto «la questione del lusso sia centrale nell’economia del settore».
Lipovetsky, nel saggio, mantiene la dicotomia tra lusso “eterno” ed “emozionale”, dove con quest’ultima espressione si intende quella forma di consumo dispendioso che nasce dalla spinta del neo-individualismo e che si lega non a strategie utili alla definizione di un’appartenenza di classe, ma piuttosto alla sfera delle emozioni e delle sensazioni personali. L’idea, insomma, è che al giorno d’oggi gli individui siano meno inclini rispetto al passato all’esibizione della ricchezza in favore di una ricerca di piacere sensuale.
Ma il lusso non è solo uno strumento, per l’autore, di soddisfacimento dei sensi. Esso si ricollega inevitabilmente ad una dimensione temporale. Così come le marche mirano ad offrire prodotti in grado di perdurare negli anni, allo stesso modo, dal lato della domanda, si avverte l’esigenza di sottrarsi alla fugacità e alla logica dell’usa e getta che contraddistingue la nostra società per trovare una base solida, un ancoraggio stabile e duraturo al presente.
Ed ecco spiegata la conclusione cui giunge Lipovetsky: proprio per questo suo rifiutare il principio del “tutto finisce, niente dura”, «il lusso si avvicina all’amore […], al suo desiderio di eternità. […] E’ possibile che attraverso le passioni per il lusso, o almeno attraverso alcune di esse, non si manifesti una pulsione alla distruzione, ma semmai il suo contrario […]. Forse qualcosa di metafisico è insito sempre nei nostri desideri di godere, come gli dei, delle cose più rare e più belle».