(Cuneiform Records/Ird 2008)
C’è una storia complessa alle spalle di questo “Dreamland”, secondo lavoro dei Beat Circus, band dietro la quale si cela il lavoro del poliedrico artista statunitense Brian Carpenter e della sua scalmanata cricca di strumentisti.
Ci troviamo al cospetto di un concept-album basato su una sceneggiatura per un’opera teatrale vagamente ispirata al romanzo di Ray Bradbury“Il popolo dell’autunno”, scritta da Carpenter stesso. Si tratta della storia di Johnny, un povero minatore alcolizzato del Dakota che ha perso il braccio in un incidente. Una notte Johnny fa un patto col diavolo: riavrà il suo braccio se ucciderà la moglie e scapperà a New York per unirsi a uno spettacolo itinerante a Dreamland, parco divertimenti dei primi anni del Novecento a Coney Island.
Il disco che ne esce fuori è un’opera “cinematografica”, di ampio respiro, dalle atmosfere assai mutevoli. Ondeggiando tra calda allegria e macabra nostalgia, l’opera seconda di Carpenter rivela una varietà di influenze assai eterogenea: Waits, jazz, folk, Zorn, cabaret, western, Tim Burton, danze balcaniche. Il tutto mescolato in una salsa dal sapore polveroso della provincia americana.
Apre le danze il sinistro balletto meccanico di Gyp the blood, che prosegue il suo movimento nella successiva The ghost of Emma Jean, per lasciar poi spazio all’ipnotico intermezzo strumentale Hypnogogia. Death fugue apre il trittico di sapore funereo insieme alle successive The good witch e Dark eyes. Influenze balcaniche e spagnoleggianti venano il tessuto di Slavochka, lasciando poi spazio ad un blues sghembo e teatrale in The Gem Saloon. L’intermezzo dal sapore western El torero ci riporta verso le armonie più spagnoleggianti di The rough riders. La scenetta da cabaret di Coney Island Creepshow non è che un divertissement prima delle morbide Hell gate e Meet me tonight in Dreamland. L’opera si chiude così come si era aperta: una marcetta robotica e ampollosa (March of the freaks).
Un lavoro di grande fattura, che pur proponendo infiniti spunti, non perde mai la bussola. Un disco da ascoltare senza pause per assaporare in pieno il viaggio surreale attraverso l’America di Carpenter: un mondo carnevalesco, ricca di sogni e paure, tra angoscia e divertimento. Da avere.
Voto: 8
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