Recensione di Lorenzo Giroffi
Foto di Daniele De Gregorio
Duel Beat di Napoli, anteprima del Kaleidoskope Festival. Le chiavi d’ingresso della rassegna sono affidate al trio-quartetto Fujiya & Miyagi. Prima degl’inglesini di Brighton, il palco sarebbe dovuto esser calpestato dai piedi ed avvolto dagli input di Swim (open act delle date dei Fujiya & Miyagi), ma come un canone da rispettare, il concerto dell’artista è stato annullato. Dunque senza remore o sbalordimenti, anche a questo festival si assiste all’annullamento di un concerto. L’attesa si direziona tutta verso i musicisti della trascinante Collarbone, in Italia nel mese di Dicembre (date a Bologna, Firenze, Roma e Napoli) non per gustare pietanze natalizie e neanche per ammirare l’arte del presepio, ma per presentare il loro nuovo album “Lightbulbs”. Il vociare inizia a sovrastare la musica, che in sottofondo svolge la propria funzione come nelle più rispettabili delle sale d’attesa. In maniera discreta, senza movenze trionfalistiche, sul palco s’intravede la sagoma di Miyagi (David Best, voce e chitarra) e con lui il videowall si riunisce attorno a granelli visivi. Istallazione video con i tasselli del domino, che si scambiano a specchio la loro numerazione fatta di puntini neri. Miyagi in sordina dà gli ultimi accorgimenti alla strumentazione e ritorna dietro le quinte. Ormai i sospiri, le attese ed i toraci sono il continuo del palco, che non s’irrigidisce con barriere di protezione o sistemi precauzionali. Il locale è pieno, le luci si vestono d’esibizione, la musica di contenimento s’arresta ed i Fujiya & Miyagi si posizionano dietro i loro strumenti. Fujiya (Steve Lewis) abbraccia i propri sintetizzatori, Miyagi imbraca la propria chitarra e Matt Haibnsby s’appropria del basso. L’elettricità della base di Fujiya s’insinua, il basso di Matt l’attorciglia e Miyagi s’inserisce con la voce. Sore Thumb si scioglie ed il concerto suona la campanella d’avvio. I bacini e le teste iniziano involontariamente una gara di onde corporee. I movimenti pacati dei tre sembrano in contrasto con la carica corporea che parte dalle orecchie degli spettatori. L’esuberanza degli inglesi si ferma sui suoni che partono dalla strumentazione, nessun eccesso visivo e nessun gioco di luci ammalianti. L’istallazione video ripropone i tre in concerto, ritagliati in quadratini virtuali. I tre non assumono movenze da star, a tratti addirittura sembrano impacciati, come quando l’asta di Fujiya, con tanto di microfono, cade tra il pubblico ed una ragazza placa il disastro con un pronto intervento. Risistema l’asta sul palco e riscende tra il pubblico, Fujiya lancia un sorriso a metà strada tra il ringraziamento e l’imbarazzo. Il secondo passo del concerto continua con la presentazione del nuovo album: è Knickerbocker a far scodinzolare il pubblico. Si ritorna alla sicurezza dell’album “Transparent things” e parte Ankle injures, le voci soffuse si lanciano in rimarcamenti nominali. “Fujiya & Miyagi”. Con effusioni vocali viene lanciato il ritornello, nel mezzo del pezzo viene riempito lo sgabello solitario della batteria acustica. E’ un sedere saldo, non ipnotizzato dalle onde sonore del gruppo: cosciente della situazione. Da tre, sul palco, passano a quattro. E’ il batterista a prendere posizione, s’inserisce un’altra componente acustica. Il tempo si tiene stabile e pare continuare in In are & out the other. In effetti non si assiste a mutamenti climatici-sonori, la linea ritmica e vocale sembra inseguirsi intatta ad ogni pezzo, ma questo non impedisce agl’ascoltatori d’imbrigliarsi nelle sonorità. Con Conductor 71 ed Hundreas & thousands, Miyagi si sgancia dalla chitarra e va a fare compagnia a Fujiya dietro i sintetizzatori. Miyagi ritorna al centro del palco, il basso e la voce tornano a balbettare lasciando ruotare le anche del pubblico: Pussyfooting. Si continua con il nuovo album, l’arpeggio della chitarra questa volta è delicato, senza frenesia e battiti dance. Si presenta Goosebumps, morbida e soffocante. Sembra un tradimento al pubblico ormai ipnotizzato da quei suoni electro-dance, che avevano creato una coda ritmica ai balli precedenti. Il pezzo sdrucciola verso la fine, con l’andatura di un attimo anonimo. Coscienti del tradimento, Fujiya & Miyagi s’affidano alla sicurezza di Collarbone, il cosiddetto usato che non tradisce. Dal repertorio vecchio ripescano un altro paio di pezzi, per poi congedarsi, quasi a rispettare un dettame della dimensione live. In queste dinamiche non sembrano a loro agio, infatti rientrano subito, senza attendere reclami o invocazioni dal pubblico. Si fiondano con lo schiocco delle dita di Miyagi: Pickpocket fa molleggiare il pubblico. In maniera sensuale, il pezzo si lascia morire e così termina anche la presentazione del nuovo album. La chiusura è affidata a Cassettesingle, quasi ad omaggiare le loro influenze e reminiscenze musicali: venature degli Hot Chip e degli Happy Mondays. Con riproduzioni fedeli, i Fujiya & Miyagi regalano gli album intatti, senza innovazioni da live. Dopo un’ora esatta di traino sonoro, senza presunzioni o effetti da gran circo abbandonano il pubblico alle loro sonorità in una carica di frenesia sensuale. Gli applausi finali non smorzano la voglia di ballo, che ormai possiede il pubblico. La base da intrattenimento ritorna ed il pubblico non abbandona gli spazi, si ferma, con i talloni ed i sederi ancora pieni di ritmo.