Di Marco Paolucci
Foto Di Andrea Scopetta
Ed ecco a voi il vostro Kathodikman preferito che si imbarca in un’altra avventura ai limiti del conosciuto per andare in quel di Ravenna a vedere il concerto dei Melvins al Bronson, locale che da queste webpagine lo scrivente non smetterà mai di elogiare per le scelte azzeccate che fortunatamente ci propina con dovizia. Mattinata dedicata al riempimento della macchina, manca un posto che viene proficuamente riempito da un altro fan maceratese della mitica band, pomeriggio dedicato alle occupazioni del caso e la sera in orario precena partenza in direzione Bronson. Per tre quarti del viaggio tutto okkey, strada statale, autostrada e via discorrendo; è solo quando uscendo al casello autostradale di Cesena ci si appropinqua verso il locale che gradualmente comincia la peregrinazione degli occupanti del mezzo, anche perchè il vostro Kathodikman peccando di presunzione di memoria crede di ricordare la strada ma si perde naturalmente e gli altri alla fine non sono da meno nell’incrementare il caos viario senza meta. Fortuna vuole che la batteria del navigatore satellitare Tom Tom rinasca a nuova vita giusto il tempo di portare il mezzo vicino al locale per poi spegnersi dignitosamente; a questo punto interviene la potentissima memoria fotografica del vostro Kathodikman che individua la porta del Bronson e permette agli stanchi e furiosi occupanti del mezzo di entrare per vedere il concerto. Il pellegrinaggio ci fa perdere buona parte del set iniziale del gruppo di apertura, ma dai restanti due pezzi che riusciamo a sentire ci si presenta un gradevole antipasto di quello per cui ci siamo imbarcati nel viaggio di cui sopra. Squilli di trombe ed ecco i Melvins, annunciati da Buzz Osborne in arte King Buzzo che mostra tutta la sua possenza grigia aureolata da una capigliatura afro imbiancata, una sorta di Kilimanjaro del noise. Dale Crover alla batteria affiancato dall’altro batterista, Coady Willis, da fuoco alle polveri e i Melvins iniziano a mostrare quello per cui sono famosi; bordate di puro noise, laceranti squarci di chitarra accompagnati da un basso suonato in maniera rituale dal bassista Jared Warren, e brani pescati dall’ultimo album ‘Nude with boots’ con qualche incursione, non troppe per la verità e sicuramente troppo poche, nel passato con Honey Bucket e Boris mostrano al numeroso pubblico del Bronson di che pasta cementante sono fatti i Melvins e di che potenza sonora sono ancora, a distanza di anni, (lo scrivente ricorda quando aprirono il concerto dei Nirvana la data di Modena negli anni Novanta) capaci di mostrare: hard rock, doom, power noise, mattoni di puro suono che vengono amorevolmente accatastati uno sopra l’altro per permettere la creazione di un solido muro sonico. Presenza scenica senza fronzoli né grilli per la testa e manovalanza musicale ai massimi livelli. Dopo più di un’ora i nostri rappresentanti del suono senza compromessi si congedano dal pubblico del Bronson permettendo alla macchina del vostro Kathodik man di ritornare in quel di Macerata e vergare queste righe per una dignitosa conferma.