(Three Lobed Recordings 2008)
Tra i massimi esponenti dello “Psychedelphia space rock movement”, i Bardo Pond sono sicuramente uno dei gruppi che più di ogni altro ha rivoluzionato la storia del rock. Dischi come ‘Bufo Alvarius’, (1995), ‘Amanita’ (1996) e ‘Lapsed’ (1997), oltre alle collaborazioni con Roy Montgomery sotto la sigla Hash Jar Tempo (‘Well Oiled’ del 1997 e ‘Under Glass’ del 1999), hanno segnato profondamente la storia della musica degli anni ’90, grazie alla loro miscela, assolutamente unica, di droning, shoegazing, space rock e noise.
Fondati nel 1989 a Philadelphia dai fratelli Gibbons, Micheal e John, entrambi chitarristi, i Bardo Pond sono ancora in circolazione e con ‘Batholith’ propongono una raccolta di materiale non completamente inedito ma neppure mai pubblicato sui precedenti LP.
Ovviamente, a distanza di anni l’effetto sorpresa viene a mancare, ma i disco è comunque valido. Si comincia con A Tune, sorta di nenia psichedelica condita da un muro di chitarre brucianti e da una vocalità suadente, volta ad accentuare l’effetto ipnotico della partitura per poi proseguire con l’heavy blues Push Yer Head (accostabile a certe cose dei Black Sabbath), la psichedelica estatica di Hypnotists, Splint, che vanta una partenza delicata ed un prosieguo all’insegna del solito wall of sound chitarristico (salvo poi rimangiarsi tutto nel finale), Slip Away, che mescola acid-rock e shoegazing e soprattutto la jam conclusiva Ssh, affascinante esempio di space drone.
Non ci sono sorprese, si diceva prima; ciononostante, ‘Batholith’ è pur sempre un ottimo disco.
Voto: 7
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