Coldplay ‘Viva La Vida Or Death And All His Friends’

(Capitol 2008)

La fortunata storia del Coldplay cominciò nel lontano 1996 quando, in occasione della festa delle matricole dell’University College di Londra, Chris Martin (allora appena diciassettenne), conobbe Jon Buckland. Questi scoprirono di avere una comune passione per la musica e cominciarono a fantasticare di metter su una band assieme. Quando ai due si aggregarono Guy Berryman e il polistrumentista Will Champion, il sogno poté prendere finalmente forma.
Le prime esibizioni si tennero sotto i nomi di Pectoralz e Starfish, ma i quattro, più tardi, optarono per il più azzeccato Coldplay (secondo la leggenda rubato ad un amico che stava mettendo su anch’egli un complesso). La formazione prevedeva Martin al canto e al piano, Buckland al basso, Berriman alla chitarra e Champion alla batteria.
Dopo la pubblicazione di ben cinque EP (l’autoprodotto “Safety” del ‘98, “Yellow”, “Shiver”, “The Blue Room” e “Brothers And Sisters” – questi ultimi tutti pubblicati nel corso del 2000 per conto della Parlophone), la band arrivò al vero e proprio debutto discografico col full-lenght “Parchutes”, un piccolo gioiellino di pop-rock in cui il futurismo dei Radiohead, la malinconia di Jeff Buckley, il melodismo dei Beatles e certe tentazioni a là U2 si fondevano alla perfezione. Il passo successivo fu “A Rush Of Blood To The Head” (2002), che confermava appieno il talento compositivo di Martin e soci.
Pubblicato nel 2005, “X & Y” fu una mezza delusione: invece di proseguire la ricerca cominciata con i due precedenti lavori, la band scelse la via della spersonalizzazione – della “u2izzazione”, se ci passate il termine. Ovvio, dunque, che ci fosse grande attesa attorno a questo “Viva La Vida” – tanto più che a produrlo è stato uno dei geni assoluti della musica del nostro secolo, quel Brian Eno che, prima con i Roxy Music, poi con Bowie, Fripp, Byrne e, paralallelamente da solista, ha rivoluzionato la storia del rock e dell’elettronica.
Il risultato, spiace dirlo, è alquanto deludente. I Coldplay dimostrano di aver smarrito (per sempre?) la via della semplicità che aveva fatto grandi canzoni come Shiver, Yellow, Trouble, The Scientist e così via. “Viva La Vida” cerca di stupire a tutti i costi con arrangiamenti (forzatamente) ricercati ed una produzione che, anziché valorizzare i suoni, finisce con lo spingerli ancora di più nell’anonimato. Per non parlare delle composizioni: di veramente memorabili ci sono solo 42, che parte come una delicata ballad pianistica, poi si anima con l’ingresso di chitarra elettrica e batteria ed infine ripiega sul formato elegiaco dell’incipit, Lovers In Japan/Reign Of Love, la prima caratterizzata dal piano martellante di Martin e da certe tensioni à la U2 e la seconda con il suo mood delicatamente malinconico e Violet Hill, con il suo incedere cupo ed i cori invocanti nel ritornello. Viva La Vida sarebbe stata il capolavoro del disco (ed uno nell’intera carriera della band) se non fosse stata troppo simile a qualcos’altro (ascoltate If I Could Fly di Joe Satriani e poi fate il confronto). Il resto del disco è sciatto, incolore e monocorde.
Peccato.

Voto: 4

Link correlati:Coldplay Home Page