Di Marco Loprete
Critico d’arte e filosofo, Gillo Dorfles può essere considerato a pieno titolo una delle personalità più importanti della cultura europea. Ordinario d’estetica presso le Università di Trieste e Milano e visiting professor presso alcuni atenei americani, Dorfles, oltre che fondatore assieme ad altri, nel ’48, del MAC (Maovimento per l’Arte Concreta), è stato anche autore di saggi di capitale importanza per lo sviluppo dell’estetica italiana del dopoguerra. ‘Il Discorso tecnico delle arti’ (1952), ‘Il divenire delle arti’ (1959), ‘Nuovi riti, nuovi miti’ (1965) e, soprattutto, ‘Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto’ (1967) – la sua opera più famosa, tradotta in ben sette lingue europee – sono altrettanti capisaldi della ricerca filosofica moderna, lavori caratterizzati da una notevole dose di acutezza e di originalità.
‘Horror pleni’, ultimo (per ora) tassello della produzione dorflesiana, è una raccolta di articoli pubblicati sul Corriere della Sera, relazioni seminariali, atti di convegni e contributi apparsi su riviste scientifiche, rielaborati per l’occasione dall’autore, con l’aggiunta di un breve cappello introduttivo ad ogni capitolo. Scopo dell’opera è quello di indagare alcuni fenomeni sociali, culturali ed artistici caratteristici della nostra epoca, contrassegnata da quello che Dorfles chiama l’horror pleni. Qual è, dunque, il significato di questa espressione?
Se con horror vacui si indica, tipicamente, il “terrore del vuoto” proprio dell’uomo primitivo, costretto a vivere in “un mondo ancora vuoto di senso e di segni”, con horror pleni, al contrario, lo studioso indica lo sgomento derivante, in epoca moderna, dal sovraccarico di segni e i comunicazioni (dall’onnipresenza della televisione e dei computer ai cartelloni pubblicitari che dominano le città, senza dimenticare i graffiti che occupano le zone più disparate dei nostri centri urbani) – sovraccarico che, paradossalmente, finisce per tradursi in una comunicazione sempre più superficiale e frammentata, dominata dal “rumore”, inteso in senso sia visivo che uditivo, ovvero dalla confusione del messaggio.
Nel suo saggio, Dorfles sviscera con precisione e lucidità le caratteristiche e le conseguenze di questo horror pleni quotidiano. Gli argomenti affrontati riguardano le trasformazioni ed i mutamenti delle modalità comunicative, il giudizio morale, il tema della consapevolezza di sé, la critica delle arti e l’avvento del digitale, della realtà virtuale e della manipolazione genomica.
Ne vien fuori l’immagine del mondo dominato da una comunicazione aberrante, privo di senso del pudore persino dinanzi alla morte, in cui l’uomo subisce passivamente un quotidiano “furto dell’immaginario” a causa delle continue sollecitazioni cui è sottoposto dai media di massa e nel quale il confine tra reale e virtuale e naturale ed artificiale è destinato ad assottigliarsi sempre di più.
Non un libro per tutti (data la complessità dei temi trattati, che spaziano dalla psicologia all’antropologia, passando per la sociologia, la filosofia, l’estetica e la critica letteraria), ma comunque un libro prezioso, che getta uno sguardo penetrate ed insieme preoccupato sul nostro presente, preannunciando un futuro tutt’altro che rassicurante.
Link: Editore Castelvecchi, 2008