Di Marco Loprete
Se volete leggere qualcosa di assolutamente originale, innovativo, travolgente, allora procuratevi “Glifo” di Percival Everett. Vi si racconta la storia di un bimbo di dieci mesi, Ralph, il quale è dotato di un’intelligenza fuori dal comune. Il suo quoziente intellettivo è infatti di 475, è in grado di scrivere, legge tonnellate di libri procuratigli dalla madre – il suo «pusher letterario» – ma si rifiuta, per scelta, di parlare.
A causa delle sue straordinarie qualità viene dapprima rapito da una psichiatra alcolizzata ed isterica, poi da un paio di agenti governativi ed infine da una coppia di sposi messicani desiderosi di avere un bambino. Ralph si troverà ad affrontare situazioni sempre diverse (dovrà persino fare i conti con un prete pedofilo convinto che egli sia l’incarnazione del demonio) prima di tornare, finalmente, tra le braccia dell’amata «mammina».
La caratteristica peculiare di Glifo, ciò che lo rende un libro unico (e ciò che rende unico il suo autore) è innanzitutto la struttura: Ralph, io narrante, inframmezza il racconto delle sue (dis)avventure, con riflessioni di carattere semiotico/linguistico, dissertazioni filosofiche, assurde poesie sugli organi del corpo umano e dialoghi surreali e talvolta anacronistici tra intellettuali e pensatori di ogni sorta. A questo si aggiunga la capacità di Everett di tratteggiare personaggi memorabili: il padre di Ralph, da questi chiamato «Cicciobombo» e definito un «poststrutturalista fallito», il protagonista stesso, con il suo sguardo spesso sarcastico sul mondo degli adulti, la psichiatra Steimmel, una donna frustrata e volgare e lo sprezzante e sboccato colonnello Bill.
Un romanzo sperimentale nel linguaggio e nella costruzione, insomma, in cui erudizione ed ironia si fondono alla perfezione, regalandoci momenti di puro piacere letterario.
Link: Editore Nutrimenti, 2007