Di Marco Loprete
Pubblicato originariamente nel 1986, “Golden Gate” di Vikram Seth è, nelle parole di un ben più illustre collega, Gore Vidal, «il più grande romanzo californiano». In effetti adoperare il termine “romanzo” per definire l’opera di Seth (nato a Calcutta nel 1952 e laureatosi in economia alla Stanford University) è alquanto riduttivo. Questo perché la vicenda di John, yuppie depresso, Jan, artista scarsamente apprezzata dalla critica, Phil, ragazzo padre che si scopre gay, Liz, avvocato di successo e del fratello Ed, gay tormentato da sensi di colpa di matrice religiosa, è narrata in versi.
La struttura dell’opera, per stessa ammissione dell’autore, è infatti ispirata all’Evgenij Onegin di Puskin, ed è costituita da 560 sonetti in rima che, nel loro complesso, compongono una ispiratissima commedia umana. Seth riflette con arguzia e profondità sull’amore, la morte, la sessualità, i pregiudizi e la morale, tracciando il ritratto di una generazione di trentenni divisi tra carriera (John, che lavora per un laboratorio del Ministero della Difesa) e slanci ideologici (Phil, il quale ha abbandonato lo stesso lavoro per seguire le proprie convinzioni pacifiste), amore e sesso facile, amicizia e antichi pregiudizi. Oltre a tutto ciò, il romanzo è anche un sentito omaggio a San Francisco, città multiculturale per eccellenza, alla quale Seth dedica passaggi di rara intensità
Il risultato è davvero sorprendente; onore alla Fandango, dunque (e complimenti ai traduttori Veronica Raimo, Christian Raim e Luca Dresda, tutti e tre scrittori), per aver riportato alla luce questo capolavoro misconosciuto.
Link: Editore Fandango Libri, 2008