Blessed Child Opera ‘Soldiers And Faith’

(Seahorse Recordings/Goodfellas 2008)

Sono passati due anni dall’ottimo ”Happy Ark” e i Blessed Child Opera, band giustamente osannata come una delle migliori della scena alternativa italiana, riemergono dal silenzio con l’opera numero quattro della propria discografia, “Soldiers And Faith”. Qualcuno ha definito la loro musica post-folk, ma dentro c’è molto di più: l’infinita tristezza dei Red House Painters, venature psichedeliche, la soffusa malinconia dei Sophia, morbidi veli jazz e le visioni oscure degli Smiths come piano d’appoggio. Il risultato è una musica dolente, sanguinante, a tratti rabbiosa, ma allo stesso tempo ammaliante e fluttuante; e pura ipnotica poesia sono i testi di Paolo Messere (già chitarrista dei superbi Ulan Bator), cupi e mai banali, che cercano di evitare il ritornello da canticchiare per sciogliere la tensione dei versi nelle scarne ma possenti strutture ritmiche e negli intarsi raffinati delle chitarre.

Tre quarti d’ora di musica che si aprono all’insegna del folk carico di pathos della title track, con la voce di Messere (qui accompagnato da Valentina Cidda, cantante dei Kiddycar) che si fa tenue e carica di tepore come in alcune litanie dei Sodastrem. My Dream Doesn’t Lie To My Soul vira verso un dark-rock ruvido che non dispiacerebbe agli Interpol. Christ Is On The Wall è carica di tensione sacrale, vibrante e intensa nel suo immergersi nel fitto buio della non speranza. Summer Waits si disperde in territori slo-core, con un incedere nudo e stanco appesantito dal violoncello di Fabio Centurione che si schiude nel finale in un’esplosione controllata tra luci oscure e mari tenebrosi. Turn (Slowly To This Native Coast) si fa sottile e increspata come la superficie plumbea dei mari artici, agitando solo un po’ nella seconda parte tra gli intrecci vocali di Messere e la Cidda e le sferzate cullanti delle chitarre. Do You Believe In Love? aumenta i battiti avvicinandosi a territori dark-wave più tradizionali, mentre It Looks Like She’s Failing fluttua in abissi onirici al rallentatore. A Couple Of Smiles suggerisce un’ipotesi di felicità lontana, tra le stelle, nello cosmo lontano, alla quale fa da contrappunto la cupa disanima dell’impossibilità di raggiungerla contenuta in The Death Of a Day. Pain In a Southern Heart guarda al post-punk con occhiali gothic, aprendosi in un finale debordante carico di inebriante malinconia. Non c’è speranza di salvezza per un uomo in bilico tra amore e autodistruzione: That’s Life afferma Messere nei versi finali del suo affresco di ombre e fantasmi.

Un album dal sapore internazionale, una conferma per il gruppo napoletano e per tutta la musica indipendente italiana, che a volte, come in questo caso, sa offrire opere di assoluto livello.

Voto: 8

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