Dopo un periodo di pausa torna Musiche per il 21° Secolo con un doppio appuntamento.
Rubrica Di Musica Classica Contemporanea di Filippo Focosi
Mark-Anthony Turnage ‘Scherzoid’ (London Philharmonic Orchestra Ltd 2005). L’inglese Mark-Anthony Turnage è uno dei più acclamati e rappresentativi compositori contemporanei. Il suo Blood on the floor è stato eseguito in occasione del primo concerto dei Berliner Philharmoniker sotto la guida del britannico Simon Rattle, uno dei più convinti sponsor di Turnage, e non certo per banali questioni di nazionalità. Le sue opere orchestrali ci forniscono un illuminato sguardo sulla contemporaneità: in esse il caos tumultuoso della metropoli, l’eccitazione ma anche lo spaesamento che la società odierna suscita in noi, trovano espressione attraverso affreschi musicali nei quali il compositore passa dall’energia contagiosa e “sporcata” da influenze jazzistiche di Scherzoid all’atmosfera meditativa e notturna delle Evening Songs, per trovare una sintesi nel poliedrico e imprevedibile Jet another set to (dove spicca il solista Cristian Lindbergal trombone), che vive di momenti ora grotteschi e quasi circensi, ora corrosivi e angosciati. Uno dei riferimenti extra-musicali dichiarati di Turnage è l’artista Francis Bacon: difatti, come i quadri del grande pittore ci colpiscono allo stomaco con le sue figure dolorosamente deformate e contorte, ma ci trasmettono anche una forte energia grazie alla forza del disegno e alla potenza del colore, così gli affreschi orchestrali del compositore ci trascinano in un vortice di gioia e di angoscia, dove è comunque la tensione alla vita a prevalere. Voto: 10/10 www.lpo.org.uk
Steve Reich ‘You Are Variations’ (Nonesuch 2005)
Tra i compositori minimalisti, Steve Reich si distingue per il fatto di compiere, ad ogni suo nuovo brano, un piccolo passo in avanti nel proprio personale percorso creativo. Ogni sua nuova composizione infatti, in parte riflette uno stile ormai ben delineato e facilmente riconoscibile, in parte fa evolvere tale stile verso nuove direzioni. Questa tendenza è confermata dal suo Cello Counterpoint, il quarto di una serie di brani dedicati da Reich a uno strumento solista − che in realtà solista non è, dato che l’esecutore interagisce con tracce pre-registrate da lui stesso − e alla personale rilettura dell’antica arte del contrappunto. Rispetto ai precedenti “counterpoints” (che nelle loro versioni originali erano affidati alla chitarra, al flauto e al clarinetto), quello per violoncello si caratterizza per un’atmosfera tesa, talvolta dissonante, e per una maggiore libertà compositiva. La stessa libertà compositiva è il principio-guida delle You Are Variations, composizione che, rispetto a Cello Counterpoint, è più retrospettiva, in quanto qui molti dei tratti dominanti della poetica reichiana − la tecnica dello sfasamento, l’utilizzo di testi brevi, la religiosità, la combinazione di voci e percussioni intonate (oltre al normale organico orchestrale), la propulsione ritmica − sono come esemplificati. Reich sostiene di aver scritto le You Are Variations per il puro piacere di comporre, abbandonandosi alla propria ispirazione: ed è proprio un piacere puro, liberatorio, estatico, quello che se ne ricava dall’ascolto. Voto: 9/10 www.nonesuch.com
Terry Riley/Kronos Quartet ‘The Cusp of Magic’ (Nonesuch 2008)
Il mago è tornato. In verità non se n’era mai andato. Da quando ha cominciato a scrivere per il Kronos Quartet, l’attività compositiva di Terry Riley ha subito un’accelerazione che non ha più trovato posa, e che continua a dare frutti sempre più pregevoli. Erano anni però che non usciva una incisione di Riley col Kronos: uno dei connubi artistici più fecondi nel panorama musicale contemporaneo. Per l’occasione il Kronos è accompagnato dalla bravissima Wu Man alla pipa, e da una serie di giocattoli con i quali i membri del quartetto californiano sono chiamati dallo stesso Riley a confrontarsi durante l’esecuzione − d’altronde la stessa Man intona qua e là delle canzoni. Questo ci fa capire come il divertimento e la giocosità, da sempre care al compositore − basti pensare al seminale In C, brano a mio avviso caratterizzato da una profonda ironia e da un genuino spirito ludico − siano una delle cifre che caratterizzano The Cusp of Magic. Non si tratta però di un puro divertissment: come sempre con Riley abbiamo a che fare con composizioni dalla forte natura spirituale, le quali però, anziché trascinarci in regni appartati e solitari di introspettiva meditazione, ci conducono, attraverso l’energia e il calore che la musica poliglotta e universale di Riley sprigiona, verso l’estasi. Voto: 10/10 www.nonesuch.com
Steve Reich ‘Daniel Variations’ (Nonesuch 2008)
Tre anni dopo l’incisione delle You Are Variations, Steve Reich torna con una nuova composizione per coro e orchestra, intitolata Daniel Variations. La similitudine tra i due brani riguarda non solo l’organico utilizzato e l’ampiezza del lavoro, ma anche e soprattutto la struttura formale, la quale è dettata dallo schema delle variazioni (una delle forme più utilizzate dal compositore americano negli ultimi anni). Le variazioni si succedono anche qui, come nel lavoro precedente, secondo un ordine più intuitivo rispetto alle prime composizioni reichiane, il che dona all’opera una particolare fluidità. Rispetto alle You Are Variations, le Daniel Variations si distinguono però per l’atmosfera generale, certamente più cupa e tormentata, come le armonie talvolta cromatiche e spesso terse confermano. D’altronde si tratta di un brano che è stato commissionato a Reich per commemorare il giornalista ebreo-americano Daniel Pearl, che è stato catturato e ucciso nel 2002 dai terroristi islamici nel Pakistan: la forma utilizzata da Reich è quindi conforme al contenuto drammatico che egli deve esprimere, il che non gli impedisce di lasciare un barlume di speranza nel futuro. Una più spiccata positività emerge nell’altro brano presente nel cd, le Variations for Vibes, Pianos and Strings. Anche qui Reich si affida alla forma delle variazioni, ma stavolta il suo riferimento è piuttosto alle sue Variations for Orchestra del 1986. Si tratta di un brano urbano e pieno di energia contagiosa, accresciuta dal ritmo dettato dai pianoforti, che realizzano una sorta di walking bass sopra il quale gli archi e i vibrafoni intessono un dialogo disteso e senza posa. Voto: 10/10 www.nonesuch.com
Orlando Jacinto Garcia ‘Fragmentos del Pasado’ (New Albion 2004)
“I membri del quartetto d’archi battono sui loro strumenti incessantemente per più di un minuto. Poi, silenzio. Una chitarra misteriosamente fa il suo ingresso, suonando progressioni armoniche, da sola. Il battito del quartetto ritorna. Solo dopo più di tre minuti udiamo il suono di un violino suonato con l’archetto, ma quando questo suono arriva c’è una sensazione di bellezza che rapisce”. Con queste parole il critico americano Frank J. Oteri introduce il brano che dà il titolo al cd, Fragmentos del pasado. Dal commento di Oteri, ma ancor di più dall’ascolto dell’intero brano ci accorgiamo che esso non ha nulla a che vedere con la letteratura classica del quintetto per chitarra e archi. Nella musica di Garcia il timbro ha un ruolo centrale e predominante rispetto allo sviluppo armonico, melodico o ritmico. Le sue composizioni sono definibili come contrappunti timbrici, in cui anche il silenzio si carica di un significato espressivo. Queste caratteristiche si ritrovano anche nelle restanti composizioni del cd, tra le quali particolarmente affascinante è Vedute sonore da Bellagio. La musica di Oteri risente chiaramente dell’influenza di Morton Feldman, ma si avvicina anche a quella del sudafricano Kevin Volans: tutti e tre i compositori hanno infatti scritto brani caratterizzati da una prevalente staticità, ciascuno però con lo scopo di evocare mondi diversi tra loro. Feldman rimane infatti più astratto e metafisico, laddove Volans evoca l’immagine del deserto africano; Garcia ci trasporta invece in un mondo dove i ricordi fluttuano in delicato equilibrio tra loro, sospesi in un’atmosfera lievemente malinconica. Voto: 8/10 www.newalbion.com
Turnage ‘Twice through the heart’ (London Philharmonic Orchestra Ltd 2005). La seconda prova di Turnage per la lpo (la london philharmonic orchestra, intesa sia come orchestra, per la quale Turnage è composer in residence, sia come etichetta che produce i propri cd), lo vede impegnato nella realizzazione di due lunghi pezzi vocali (tratti da altrettante opere) e di una relativamente breve ballata per sassofono e orchestra. E’ un Turnage in generale meno aggressivo rispetto ai lavori precedenti, e più attento all’aspetto melodico e al colore orchestrale. Anche in questo ambito egli dimostra comunque la propria originalità, distinguendosi per una elaborazione di temi intimistici ma mai languidi (talvolta piuttosto dall’accento blues) e di una raffinatezza nell’orchestrazione frutto di una personale sintesi di influenze diverse, che vanno da Vaughan Williams a Miles Davis (e dove spicca il sassofono solista di Martin Robertson, suo fido collaboratore da anni). Voto: 8/10 www.lpo.org.uk
Ingram Marshall ‘Savage Altars’ (New Albion 2006)
Ingram Marshall è un compositore americano divenuto famoso per la realizzazione di interessanti brani “ambientali” e minimalisti come il celebre Fog Tropes. Tuttavia egli non è facilmente racchiudibile in una semplice etichetta, e il presente cd, registrato per la New Albion (la casa discografica con la quale egli incide da molti anni) ne è la prova incontrovertibile. Se infatti nel brano per chitarre multiple Soe-pa ritroviamo la tecnica del delay, che richiama da vicino quella del phase shifting di Steve Reich e produce un analogo senso di progressione graduale e calcolata, in Authentic Presence, per piano solo, Marshall si lascia guidare in maniera libera e intuitiva dalla propria ispirazione melodica. I 5 pezzi “facili” per due pianoforti passano da atmosfere di incantato lirismo a passaggi ritmici perfino brutali, mentre in Savane Altars, per coro, Marshall riprende il modello rappresentato dai Carmina Burana di Carl Orff per evocare il fascino di civiltà remote, rivisitandole però alla luce di una sensibilità contemporanea. Voto: 9/10 www.newalbion.com
Heitor Villa-Lobos ‘Choros Vol. 1, 2, 3’ (Bis 2008/2009)
Heitor Villa-Lobos è stato uno dei compositori più prolifici del Novecento. Egli ha attinto dalle infinite risorse musicali della sua terra, il Brasile, per dar vita ad un numero tanto alto quanto variegato di composizioni. All’interno di questo mare magno, si possono però distinguere delle fasi e dei blocchi di composizioni più o meno importanti. Possiamo dire allora che se gli anni Trenta sono stati gli anni delle sue celeberrime Bachianas Brasileiras, gli anni Venti sono quelli dedicati alla serie dei Choros. Rispetto alle prime, dove l’ispirazione folklorica brasiliana si sposa con le strutture classiche di bachiana memoria (vedi l’utilizzo preminente di preludi e fughe, e in generale della tecnica del contrappunto), i Choros si caratterizzano per una maggiore spontaneità compositiva: non a caso il termine stesso designa una forma di musica popolare brasiliana di chiara natura improvvisatoria. Sarebbe certo sbagliato parlare di improvvisazione per i Choros di Villa-Lobos. Ciò che però è indubbio è che la loro cifra predominante è l’imprevedibilità: temi, ritmi, colori tra i più diversi ed eterogenei tra loro si susseguono nella maniera più fantasiosa e originale, momenti di pura esuberanza e di caos poliritmico e politonale cedono il passo a frammenti di valzer malinconici, passaggi lirici affidati agli archi cedono il passo a complessi festosi di strumenti a fiato o ai suoni inediti di percussioni esotiche − il tutto mantenendo un equilibrio che riflette il talento artistico del compositore, e che è presente tanto nelle composizioni di media durata o in quelle più brevi (da lui chiamate “ratti”), tanto nei mastodontici poemi orchestrali dei Choros N. 11 e 12 (gli “elefanti”). Grazie al genio del compositore, anche l’elefante si muove con l’agilità di un ratto (questo mi fa venire in mente il modo in cui Jorge Valdano definì Zinedine Zidane: “un corpo da elefante col cervello di una ballerina”). I tre cd della Bis sono quindi un vero regalo agli appassionati di musica del Novecento, e la qualità dell’esecuzione, la perizia delle note di copertina e la bellezza della grafica sono l’adeguata cornice a un così prezioso tesoro. Voto: 10/10 www.bis.se
Fernando Otero ‘Pagina de Buenos Aires’ (Nonesuch 2008)
Cercare di trovare l’erede di Astor Piazzolla è un po’ come cercare di trovare l’erede di Maradona: in ambo i casi l’impresa è destinata al fallimento, data l’inarrivabile grandezza dei due personaggi. L’Argentina è però una fucina tanto di bravi calciatori quanto di bravi musicisti. Il calcio argentino non si è fermato a Maradona: dopo di lui sono emersi giocatori del calibro di Batistuta, Aimar, e più di recente Messi. Così pure la musica argentina non si è fermata a Piazzolla, ma ha prodotto tanti musicisti che ne hanno proseguito in modo egregio la poetica. Fernando Otero è uno di questi. Egli, come Astor, è un musicista versatile: suona e improvvisa al piano, da solo, in duo col violinista Nick Danielson o con altre formazioni cameristiche; e compone per altri, come l’orchestra che nel presente cd esegue due sue composizioni. Di Piazzolla, Otero ha ereditato anche l’attitudine tanguera, di cui ha saputo cogliere tanto il lato maschile e combattivo quanto quello sensuale e nostalgico. Ma soprattutto, la sua musica è in grado di racchiudere una vasta gamma di emozioni, di linguaggi, di colori: proprio come quella del suo illustre predecessore, ma con una cifra stilistica che è solo sua. Voto: 10/10 www.nonesuch.com
Andre Jolivet ‘Concerto per violino’ (harmonia mundi 2006)
Andre Jolivet è una figura a suo modo rappresentativa del Novecento musicale, in quanto la sua poliedricità rispecchia la ricchezza delle poetiche che si sono affermate nel secolo appena trascorso. Si pensi ai dodici concerti per strumento solista scritti da Jolivet nel corso della sua carriera, dove si passa dal neoclassicismo del concertino per tromba allo sperimentalismo del concerto per onde martenot. Il concerto per violino è l’ultimo di questa serie, e in esso si possono ravvisare sia echi neoclassici (in particolare nella ritmica ed esuberante danza finale) sia una particolare ricercatezza sonora (che nell’uso delle percussioni richiama alla mente Edgar Varese). Ma soprattutto, il concerto si può leggere come un viaggio spirituale, lungo il quale il violino solista incanta l’ascoltatore con fraseggi melodici ora rapsodici ora ripetuti e lo conduce verso un rituale estatico e purificatorio. Tanto incantatorio è il concerto di Jolivet quanto incantevole è il poema di Chausson che completa e arricchisce il presente cd. Voto: 8/10 www.harmoniamundi.com