(Urtovox/Audioglobe 2009)
Secondo capitolo della trilogia su luci ed ombre della società globalizzata per gli emiliani Les Fauves. Dopo l’interessante ma ancora acerbo esordio sulla lunga distanza datato 2007, il quartetto amplia il suo raggio d’azione creando un tourbillon musicale che ben si adatta a quel concetto di “modernità liquida” ripreso dai nostri dalle teorie di Zygmut Bauman. Secondo il sociologo polacco la società globalizzata ha spostato il suo baricentro dall’essenziale alla vita alla necessaria omologazione a valori economico – sociali condivisi che vanno oltre le ideologie classiche, creando disorientamento, isolamento e frustrazione.
Da questo punto partono i Les Fauves per un viaggio sghembo e sarcastico sia a livello lirico che musicale: se i testi ironizzano in chiave spesso non – sense sui temi della post – modernità, la musica segue tragitti che ondeggiano tra i deliri wave dei Talking Heads, il pop – punk dei Pixies come sottostruttura e bizzarre inclinazioni elettroniche a – là Pere Ubu, il tutto sciolto in una psichedelica che serpeggia e unifica il disco nel suo complesso.
La prima delle undici tracce di questo lavoro è Everlasting Soup, danza sintetica infantile che aggiorna i Pere Ubu agli anni Duemila. Si prosegue con Berolina Party Suite, disco – pop sinistro che deraglia nella seconda parta verso lidi lisergici quasi prog con finale infuriato. Drops Drops Drops vira verso la psichedelica barrettiana inserendola nel contesto della forma canzone più tradizionale, con coda acida quasi latineggiante. Funeral Party torna dalle parti di David Thomas e soci, infarcendo il tutto di tastiere e voci surreali come un set di Tim Burton. Snow In Trinidad And Tobago è una nenia cosmica al rallentatore inaspettata all’interno del disco, come se gli Yuppie Flu si trasformassero una cover band degli Slowdive. Death Of The Pollo è synth – rock gracidante e ammiccante allo stesso tempo, che ripropone la struttura a cambi di ritmo dance – slow – dance. Keep Living In a Subway è una favoletta recitata con un fil di voce, orientata verso un’insistita ricerca della melodia. Lagos svolta verso un tribalismo sbeffeggiante e pastoso che vagamente ricorda qualcosa dei Flaming Lips, con tanto di finale electroclash. Pitslicker torna a una no – wave allucinata alla Devo inserendovi derive caraibiche: un trip allucinogeno in piena regola, con incipit che ricorda (starò impazzendo in seguito a prolungata esposizione al disco?) Loredana Bertè in E La Luna Bussò. La lunga Back To The Anal Phase riprende la struttura di Lagos rendendola più elettrica ma al contempo meno efficace. La nostra nuotata nel liquido informe che è la modernità dei Les Fauves si chiude con Cold Shower Tide, balletto electro – caraibico giocoso e delirante.
Al secondo tentativo gli emiliani hanno fatto centro: il mix di testi impegnati (resi in forma favolistico – surreale) e musica informe e inafferrabile è irresistibile, un giocattolo divertente ma terribilmente serio nei suoi affondi satireggianti. La deformità è la cifra stilistica dei Les Fauves e in essa sguazzano con consapevolezza e voglia di divertirsi, che non fa mai male. Un grande passo in avanti per i giovani nostrani, che si ergono a capofila della nuova generazione musicale italiana da esportazione. Uno dei dischi italiani migliori dell’anno.
Voto: 9
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