(Bosco Rec. 2009)
Brusaschetto mette ordine nelle proprie stanze.
Scatole
che si aprono, finestre che sbattono, tende bianche svolazzanti e
voci dal basso.
Tepore che arriva da lontano, ed ombre in cerca di
riparo dalla troppa luce.
Brusaschetto apre scatole, una dopo
l’altra con un osso piantato in fondo alla gola.
Reperti,
frammenti, invettive lanciate e mai giunte sudore e spazi ampi e
deserti.
“Blasé”, Suture elettriche
di un tempo, oggi carezzate ad occhi chiusi come violacee modifiche
corporee.
Laika
intrappolata da mani estranee nell’angusto spazio dello Sputnik
2 senza potersi muovere
né tornare a casa.
Casa che si allontana, casa che scompare casa
che neanche il ricordo ti ridarà.
Il panico della spinta
propulsiva, cieco, fluidi impazziti, l’urlo solitario/straziante
nell’abitacolo metallico la disperazione di un’orbita ellittica
infinita.
Digrignar di denti e voce che arrochisce in uno spasmo
muto.
E spinta, e nubi che si diradano, e lo scrigno che si
schiude poco più in alto, ora stellina uggiolante senza più
paura.
Altre mani invisibili ci carezzano ora, ci tolgono di dosso
i tubi che c’imprigionano delicatamente senza bisogno di
leccare.
Una vampa silenziosa.
Brusaschetto con queste nove
interpretazioni, sunto della decade 1997-2007, ci prende e lascia
scompigliati ed atterriti.
Si fatica a deglutire da queste parti,
l’emozione indotta è tanta, e faccende che si vorrebbero
dimenticare in fretta riaffiorano e ti inchiodano.
Si questi son
nove chiodi acustici.
Supportato discretamente, dalla tastiera (e
produzione) di Marco
Milanesio (DsorDNE
e tanto altro…), e dalla tromba di Paolo
Inverni, Brusaschetto
centra la sua produzione più riuscita.
Il vuoto, il suo
cuore, la luce del primo pomeriggio estivo che s’infrange sull’acqua,
il silenzio che evoca fra le sue pieghe il frastuono più
assordante, il nostro battito che si sintonizza sul ritmo agonico
dell’iniziale, Muoversi A Ritmo Di Musica Danzare.
E
sai che da questo ascolto non ne uscirai fuori bene.
Poiché,
alla faccia di tutta una serie di nuovi cantastorie, spinti e
salutati da tripudio critico/popolare (insomma…), Brusaschetto si è
sempre fatto i cazzi suoi, erodendo sino all’osso la sua arte.
Lo
stesso marmoreo struggimento degli Swans
di “White Light From The Mouth Of Infinity” e “Love
Of Life”, quel senso di altezza vertiginosa di dolorosa
assenza pacificata.
Dio maledica Brusaschetto, perchè
questo cd è in tiratura limitatissima o forse è meglio
cosi.
Potrebbe provocare danni enormi.
Ma potrebbe pure
chiudere ora.
Per molti potrebbe diventare il disco
dell’estate.
Una certa estate.
Ascoltate Goffo
tratta da “Bluviola”, abbiate la pazienza di arrivare
sino al minuto 2:12 ne riparliamo poi.
(Non ho parlato di folk,
di blues, di senso alterato di lisergia italica anni settanta, di
musica industriale, di noise. Qualcosa, da qualche parte, prima poi
ed ora.)
Fra la spinta e l’arresto.
Scoppi di terra
arida/noi si aspetta/quasi impazienti.
Voto: 9
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