@East Anglian Railway Museum 13/06/2009
Di Francesca Catalini
Eravamo in molti ad aspettare che finissero i dissapori tra Damon Albarn e Graham Coxon, per avere la possibilità di vedere di nuovo insieme (o chi, come noi, per la prima volta) i Blur sul palco. Il fatto che questa riappacificazione (non si può parlare di reunion come ha giustamente specificato Coxon in ‘The Word’ (July 2009, pg 4), dato che non si sono mai divisi e mai riusciremo a sapere cosa veramente sia accaduto tra loro) sia avvenuta nel periodo in cui vede riunite altre band, può far pensare alla solita manovra commerciale visto che il 15 giugno ha visto la luce un doppio cd ‘Midlife: A Beginner’s Guide to blur’, la seconda raccolta che oltre ai brani più famosi, contiene due canzoni ‘Out of Time’ e ‘Battery in your Leg’ dall’ultimo album ‘Think Tank’ (2003), questa volta eseguite da Coxon che aveva lasciato la band durante la lavorazione dell’album e il cui posto era stato preso da Simon Tong (ex-Verve).
Ma chi conosce l’indole particolare, tra l’insolente e il menefreghista, che ha sempre caratterizzato i Blur, sa che quello che fanno, lo fanno perché va a loro. Non è mai successo che si siano preoccupati dei fan o delle vendite (‘13’ – del 1999 prodotto dal grande Orbit – dimostra come abbiano seguito la loro vena creativa fino in fondo senza guardare in faccia a nessuno, a costo di perdere fan completamente spiazzati e perplessi di fronte a quelle ardite sonorità sperimentali).
I dubbi erano tanti, dopo tutti questi anni di silenzio (eccetto Damon Albarn che ha sfornato un progetto dietro l’altro tra Gorillaz e The Good The Bad and The Queen e Graham Coxon che ha continuato la sua carriera da solista pubblicando altri 5 album, 6 se contiamo quello appena uscito). Quanto delle singole esperienze musicali dei due avrebbero influito sul suono dal vivo? Avrebbero riarrangiato per cercare di essere più vicini alla loro età e al loro gusto musicale ormai maturato per altre vie? Sarebbero riusciti ad arrivare a questo primo live insieme senza litigare di nuovo?
Ma tutte le domande sono svanite non appena Coxon ha fatto di nuovo ‘rivivere’ gli accordi di ‘She’s so High’ (loro primo singolo 15 ottobre 1990) e ‘There’s no Other Way’ all’interno di quello che fu il primo edificio che li sentì suonare nel lontano 1988 (quando ancora il loro nome era Seymour), chiamato The Goods Shed all’East Anglian Railway Museum, una vecchia stazione sperduta nella campagna inglese dell’Essex, a pochi chilometri da Colchester, la città che li ha visti crescere e creare la band.
Per chi ha avuto la possibilità di vederli nel Tour del 2003 (noi c’eravamo!), la differenza tra la chitarra di Simon Tong e quella di Coxon salta subito all’ ‘orecchio’. Il puzzle si ricompone e come per magia tutto torna al proprio posto e si capisce cosa fosse quello che mancasse a quel Tour nonostante fosse impeccabile. La chitarra di Coxon non lascia dubbi, parla chiaro ed è determinata. Si trova nel suo habitat naturale.
‘Beetlebum’ non è mai stata così vera e fedele a se stessa; ‘Song 2’ esplosiva più che mai (entrambe dall’album ‘Blur’); ‘Girls&Boys’ di nuovo trascinante (purtroppo per le nostre ginocchia messe a dura prova) e ‘Tracy Jacks’ così divertente e brillante; ‘End of a century’, ‘To the End’ (con il mitico Mike Smith all’oboe) e ‘This is a low’ così solennemente classiche (tutti e cinque da ‘Parklife’ 1994); per non parlare di quei brani come ‘Advert’, ‘For Tomorrow’ o ‘Oily Water’ dell’album che ha dato il via al Brit Pop ‘Modern Life is Rubbish’ (1993) così pieni e suonati con sapiente destrezza. Ma ancora di più, la chitarra con le sue distorsioni acquista pregnanza quando arriviamo ai pezzi da ‘13’. ‘Tender’ ma soprattutto ‘Trimm Trabb’ finalmente ritrovano la giusta interpretazione espressiva, quella dell’origine. Una perla del concerto è ‘Essex Dogs’ dall’album ‘Blur’ (1997) che era stata cancellata dalla set list ma che dopo un ballottaggio per alzata di mano, è stata preferita a ‘Sing’ (‘Leisure’ 1991). Coxon si mette in posizione, come un direttore d’orchestra, e inizia a giocare con le distorsioni creando quell’atmosfera cupa che fa da sfondo al recitar cantando di Albarn che descrive la vita di provincia dell’Essex. A chiudere questo concerto d’incalcolabile valore storico, e anche artistico direi, ‘The Universal’ una delle più belle canzoni di ‘The Great Escape’ (1995).
Sorprendono per la loro energia. Anche il controcanto di Coxon, che canta tra il divertito e l’imbarazzato (cantare ‘la la la lala’ a 40 anni può suonar strano se non lo si fa con ironia), ha la sua ragion d’essere all’interno dei brani, fa parte della tessitura e struttura stessa delle canzoni, ormai l’abbiamo capito. Mentre il Maestro Albarn torna ragazzino e salta e si dimena nonostante il palco sia davvero piccolo, riprendendo fiato ogni tanto completamente grondante di sudore, ma riuscendo a mantenere la voce stabile (anche se un po’ si ‘sentono’ gli anni passati) dimostrando più volte di esser contento di aver ritrovato un amico e una presenza familiare accanto. Non mancano anche dialoghi con il pubblico (viene domandato quanta gente ci fosse a quel loro primo concerto dell’88 e Coxon risponde che era pieno allo stesso modo, un 150 persone – n.d.F. compresi i parenti, presenti anche questa volta) e scene divertenti che fanno capire l’atmosfera serena e di completa complicità all’interno della band e della crew (che ridendosela sabotano Albarn quando prova ad iniziare a raccontare chi fosse presente a quel primo concerto – tutti sanno che è un gran chiacchierone quando è in vena – facendo partire la canzone ‘To the End’ e lasciandolo con un palmo di naso). Non ci fanno mancare proprio nulla e Albarn si lancia anche in un inevitabile stage-diving durante ‘Advert’ nonostante l’età sua, del pubblico e il buonsenso…ma la musica è proprio questo: passione a cui non puoi dire no quando si fa sentire. Dave Rowntree non perde un colpo durante il concerto ma la fatica dopo il concerto ora si fa sentire di più, dice ad una nostra collega (http://www.loudvision.it/musica-concerti-blur-concerto-wakes-colne-inghilterra-east-anglian-railway-museum–282.html). Alex James invece sembra quello che dal passare del tempo abbia guadagnato, e l’aplomb e la flemma inglese sono più evidenti che mai in lui, come nella sua ironia (si mette a suonare il basso come un violoncello appoggiandolo per terra).
Concerto memorabile e gustoso, come pochi, grazie anche alla venue che lo ha reso così intimo, creando quel legame tra band e pubblico uniti dallo stesso sudore e passione. Proprio come un concerto dovrebbe essere.