(Bosco Rec./O.F.F. 2009)
L’esordio del torinese Paolo Spaccamonti, possiede qualità
e quantità.
E visto da una certa distanza, pare proprio una
manina aperta agitata (gli auguriamo…), che ci saluta in partenza
per lidi maggiori.
Esordio che proprio esordio non pare, infarcito
com’è, da idee che zig e zag sempre verso la frontiera si
dirigono.
Frontiera polverosa, percettibile a livello emotivo,
dove l’occhio non arriva per il troppo sole.
Bene ha fatto,
Brusaschetto, a registrarlo, mixarlo e farlo uscire per la sua
Bosco, bene han fatto Marco Milanesio (9cento9)
alla produzione, e Fabrizio Modonese Palumbo (Larsen),
a supportarlo come O.F.F. Studio.
Spaccamonti si aggira
borderline, fra crinali sabbiosi poeticamente McCarthyani,
nevrosi da metropoli estive deserte, e malinconie condominiali
sgocciolanti.
“Undici Pezzi Facili”, evocativi e
cinematografici, nonché totalmente svincolati dalle
immagini.
E di cantautoriale, come potrebbe sembrare, nulla vi è
(collaborazioni assortite a parte…).
Rock post diluvio, che si
rialza stordito dalla piena che lo ha trascinato via, e si ritrova
gocciolante, ad ammirare il nuovo mondo silenzioso che si offre
tutt’intorno.
Faccenda che passa dal post, a leggere incursioni
noise, diluizioni wave in proiettili floydiani, trip hop a
capo chino in odor “Paris, Texas”, e jazz solitario da
appartamento chiuso da anni , con tovaglia, piatti, bicchieri e
posate, sistemati in perenne attesa e bell’ordine, sul tavolo della
cucina.
Dall’iniziale bruma in fase di scomparsa di Camicia
Gialla, Cravatta Nera, passando per le armonizzazioni furenti di
Drones (che sobbalzando, innesca similitudini con l’isola di
Maqom), le scariche ritmiche di Ezra e Simone Sanna
in Vertigo,
che quasi quasi dici Laddio Bolocko.
Ed ancora, il
paletto piantato in terra osservando l’orizzonte, dal contrabbasso di
Marco Piccirillo in Minus, le scottature medicate e
rinfrescate a suon di corde fluttuanti, delle tre parti di Fine
Della Fiera, la panchina solitaria sotto il sole di Tex,
la caracollante Spy Movie, leggermente ubriaca, che si aggira
fra neon di metropoli incubo/volgare con una collana di fiori al
collo a penzolar sulla camicia aperta.
Soli tutti, fra beat
casalingo/notturni, e brividi arpeggiati, che vorresti sentir
crescere, sino a diventar rumore bianco armonico.
Lamento
chiude, e pensi ai Low e Dirty Three, chiusi dentro
alla casa delle Fishtank sessions, mentre gli strumenti son fermi e
fuori piove.
Ancora per poco.
Paolo Spaccamonti, è
chitarre elettriche ed acustiche, basso synth e rumori.
Ed
“Undici Pezzi Facili”, potrebbe essere un disco per
l’estate.
Come dissi per “Blasé” di
Brusaschetto di una certa estate.
Voto: 8
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