(Unhip 2008)
Ho scoperto tra le pile di dischi da recensire una chicca rimasta seppellita. Chiedo perdono se mi avvicino con ritardo imperdonabile (a quasi un anno di distanza dall’uscita) al disco che segna l’esordio discografico di un gruppo che non può lasciare indifferenti.
Siamo di fronte ai Blake/e/e/e, nuova creatura di Paolo Iocca e Marcella Riccardi, ex Franklin Delano, accompagnati alla chitarra da un mostro sacro della scena alternativa italiana come Egle Sommacal, chitarrista dei Massimo Volume e attualmente attivo anche con un progetto da solista, e Mattia Boscolo alla batteria. Un mix potenzialmente esplosivo che in questo “Border Radio” dà prova di una padronanza musicale assolutamente hors categorie: mantenendo la metafora della radio del nome dell’album, è come se in ogni traccia si cambia stazione senza però cambiarla mai veramente; resta sempre il filo rosso di una sezione ritmica granitica a legare intimamente tutti gli episodi, esplorando tanto il dub quanto il pop, tanto il post – rock quanto il folk.
Holy Dub è una breve che apre il disco su ritmiche dub appunto, dilatate e filtrate alla luce del post – punk. New Millennium’s Lack Of Self Explanation è una stupenda nenia folk intarsiata da disegni ruvidi che turbano di tanto in tanto una calma bucolica che fa quasi Animal Collective pur senza la stessa spensieratezza. The Great Rescue Episode diluisce questo folk naturalistico nel post – rock, con una melodia che però fa tanto Flaming Lips. In Narrow Zone il folk assumi toni oscuri e ipnotici che nella ripetizione trovano una forza sacrale. Con Time Machine cambia tutto: le ritmiche si fanno quasi math e il canto diventa sinistro e meccanico. The Thing’s Hollow mantiene l’ossessività della precedente ma il canto della Riccardi dà un tocco liturgico ma sinuoso allo stesso tempo non lontano dai Father Murphy. Holy Yes To Sunny Days ci porta fuori dall’incubo per riportarci al sole di un folk – pop di nuovo agreste sulla scia degli Akron/Family. Dub – Human – Ism è la summa del lavoro, il compendio delle potenzialità del gruppo: in dieci minuti il quartetto apre all’insegna dell’oscurità lisergica e dilatata per poi, verso metà traccia, spostarsi verso ritmiche a singhiozzo e ghirigori elettronici ma sempre molto minimali, in un insolito botta e risposta tra batteria, drum machine e synth. Border Radio tiene in allerta con le sue note acute ripetute all’esasperazione per poi sciogliersi più delicatamente verso lidi eterei sferraglianti e intrinsecamente rumoristici. La chiusura è affidata a Saint Lawrence Tears, cantilena da gusto country lieve ma comunque all’insegna di un’atmosfera buia e vagamente paurosa.
Un disco che non ha niente da invidiare ai mostri sacri dell’alternative mondiale, passato inspiegabilmente sotto traccia in Italia.
Voto: 9
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