Di Diego Giachetti
L’autore si avvale efficacemente e con disinvoltura di fonti di vario genere, si muove e valica di continuo i confini delle varie discipline (storia, antropologia, sociologia, studi culturali) abbandonando riserve e preclusioni tipiche di certa storiografia accademica. L’oggetto del suo lavoro sono gli anni Ottanta nella storia dell’Italia repubblicana attraverso il mutamento delle forme di conflitto e di rappresentanza della condizione giovanile. Un intento utile e prezioso che ha in primo luogo il merito di sdoganare quel decennio facendone oggetto specifico di riflessione e di ricostruzione storica, mollando quindi (cosa non facile) la consuetudine della frequentazione del ’68 e degli anni Settanta.
Il risultato significativo e conclusivo, che invece qui anticipo, di questa ricerca è che se si guarda la storia dagli anni Ottanta la periodizzazione 1968-1977, relativa alla stagione dei movimenti, alla quale spesso siamo abituati a far riferimento, non appare più così scontata e acquisita. Il movimento del ’77 in particolare non è più l’epilogo finale di una ricca stagione di movimenti e di conflittualità, la fiammata che chiude l’incendio. Piuttosto esso appare come l’inizio di una nuova periodizzazione, un farsi, uno sviluppo che troverà esisti e agganci nelle culture giovanili punk degli immediati anni seguenti. In quest’ottica la distanza dal ’68 è enorme. Quel periodo è veramente finito, appartiene a una storia passata, mentre gli anni Ottanta acquisiscono una loro autonomia e le trasformazioni sociali in corso appaiono molto più vicine al nostro presente che non il decennio che l’ha preceduto.
Nel fare questa meritevole operazione di “sganciamento” l’autore è costretto a ingaggiare un’ultima “battaglia” per liberarsi definitivamente dalle influenze dei movimenti degli anni settanta che ancora, a vario titolo e modalità, si riscontrano nel modo di agire e di operare delle nuove forme del conflitto. Questa transizione è raccontata molto bene esponendo tre casi esemplari: le vicende romane e del centro sociale Prenestino, quelle milanesi dell’attivismo culturale punk e post punk e quelle del punk torinese. Tutte esperienze che si intersecano e fanno i conti, differenziandosi tra le varie città, col lascito dei movimenti degli anni Settanta e del loro modo di fare politica e cultura.
Accomuna queste esperienze il segno dato dalla crisi, dal fallimento e dalla fine dell’agire politico che trovò la sua espressione già nel movimento del ’77. Gli anni Ottanta e i movimenti ad esso coevi si caratterizzano per una conflittualità che, con termine non sempre appropriato, è stata definita “impolitica”. Col punk il “luogo” primo della politica diventa il proprio corpo che viene usato ostentatamente, nel modo di vestire, di atteggiarsi e di “truccarsi”, per comunicare, prima ancora delle parole, il proprio disagio, la propria ribellione, il proprio separarsi dal mondo circostante. E’ un modo di essere, uno stato d’animo esposto visibilmente, prima ancora di una critica razionale e politica, è un fatto in sé che non che non ha bisogno di spiegazione e di commenti, si spiega e si commenta da sé.
Nel trattare l’argomento punk in Italia l’autore sottolinea anche gli influssi e le differenze tra esso e quello di altri paesi, principalmente la Gran Bretagna e la Germania. Dà spazio e ragione sociale ad un fenomeno che troppo spesso è stato semplicemente trattato (e liquidato) come fenomeno musicale. La musica certo, come accade spesso nei movimenti giovanili della seconda metà del Novecento, ha avuto un suo ruolo e un suo peso, ma essa ha anche potuto attecchire e vivificarsi perché esisteva un tessuto sociale ricettivo e pronto a farne la sua “icona”, la sua colonna sonora, il suo stile di vita.
Link: Beppe De Sario, Resistenze innaturali. Attivismo radicale nell’Italia degli anni ’80, Milano, X book, 2009, pp. 254, euro 16.00.