(Uk Division Records/Alkemist Fanatix Europe/Code7 Distribuzione 2009)
I milanesi Absinthe si presentano decisamente benino, con una bella copertina professionale, un design curato e tutto quanto. E mi sembra giusto dirlo, visto che quanto di buoni ci presenta ‘Urban Fairytales’ più o meno finisce lì: da quando ci attacca il rock alternativo generico di Watch Me Burn tutto inizia ad andare in discesa.
A parte la disperata voglia di usare la lingua inglese, che non aiuta molto a differenziarli dall’allegra comitiva dell’accento pesante, gli Absinthe sembrano esattamente il gruppo spalla che ti aspetteresti di vedere a un concerto di una band di cui già t’importa poco. Vengono, suonano, non rompono particolarmente le scatole e te ne dimentichi cinque minuti più tardi.
Il problema sorge se si capita di ascoltarli da soli, su cd; la noia è praticamente inevitabile, anche perché di sostanza la band milanese ne offre proprio poca. I pezzi sono proprio piatti e dalla struttura fissata nel marmo (strofa, ritornello più sincopato, strofa, ritornello), la voce della cantante Sara Frusciante niente di particolare, i testi in inglese zeppi di banalità ed errori di ogni tipo, quelli in italiano meramente inutili.
Ho gradito solo la vivace Like a Hollywood Star, le altre zoppicano a trovare un qualcosa di minimamente originale (la conclusiva Say poi ha un terrificante sapore di già sentito!) e vanno fino alla fine senza proporre niente di particolarmente notevole.
Avrei volentieri alzato il voto sopra al 5, ma le due bonus track in italiano son riuscite nell’intento di farmi ulteriormente sottolineare i problemi rilevati nelle prime 11 tracce, soprattutto la semi-acustica Limpido era davvero da lasciare nel cassetto.
Il loro sound ricorda una di quelle band di ‘rock frizzante per divertirsi e rimorchiare’, minus il divertirsi e rimorchiare, e al posto del frizzante un’allegra malinconia e un sorriso disperato pieno di carie.
Direi proprio che c’è ancora da lavorare.
Voto: 5
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