(Uk Division Records/Alemist Fanatix Europe/ Andromeda Distribuzione 2009)
Normalmente sono solito cominciare la recensione di un album parlando del background della band, di come hanno cominciato e così via, ma stavolta siamo in campo totalmente diverso. Questo perché i Loadstar non sono esattamente un gruppo di ragazzi ai primi passi nel music business; no, la band napoletana suona heavy metal da quasi 25 anni. Purtroppo non sono mai riusciti ad arrivare a un disco finito, c’è voluta la recente rifondazione per poter avvicinarsi a qualcosa di concreto.
In questi casi ci si chiede se “è valsa la pena aspettare”, ma stavolta la domanda non me la farò, perché mi sento fortunato già solo ad avere tra le mani il loro disco.
La grande esperienza del gruppo paga nel buttar giù dieci pezzi che funzionano alla grande, con giusti inserti thrash vecchio stampo, preziosismi che non passano inosservati (l’assolo di basso al fulmicotone in Midnite (The Time of the Witch) e una grande attenzione per i particolari.
Fanno capolino nei dieci pezzi, due canzoni di un altro gruppo dell’heavy metal italiano, gli Hell’s, e la presenza di Riccardo Napoli, sempre della suddetta band, alla seconda chitarra. C’è inoltre Arnaldo Laghi (Entropy) alla voce, una presenza sicuramente importante ma che a volte risulta poco azzeccata, soprattutto nelle tonalità più alte di alcuni pezzi.
La band inoltre arricchisce il sound con alcuni idee tipicamente anni ’70 e qualche tocco ’80, come l’inizio molto alla Scorpions di Alien World. Personalmente ho gradito il breakdown su Time Won’t Forget, è un classico esempio di un gruppo che sa come muoversi e dalla grande esperienza, basta davvero poco per ‘farsi riconoscere’.
Altrettanto apprezzata mi è risultata la cover di Canzone Appussiunata, un classico della canzone napoletana, presente come prima delle due bonus track del disco. L’idea sulla carta potrebbe risultare davvero ignobile, il pezzo è addirittura interpretato da doppia voce con Laghi e Ida Rendano (però!), eppure i Loadstar se ne escono con un momento interessantissimo, metà in napoletano e metà in inglese (nella parte cantata da Laghi), che cavalca dall’inizio alla fine e potrebbe quasi annunciare la nascita di un nuovo genere di metal! Appassionante davvero.
Insomma, anche dissezionando ogni minimo momento, ‘Calls from the outer space’ ne esce molto bene; non è un disco certamente perfetto, c’è da lavorare sui vocalizzi e la qualità dei pezzi non è sempre persistente, però è un lavoro che spicca su tutto il resto della scena metal, annientando band che promettono ma non hanno mai mantenuto, a differenza del gruppo napoletano.
Voto: 8
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