(Setola Di Maiale 2008)
Strana proposta quella di Bogdan Dullsky.
Randagia,
dubbiosa, obliqua.
Il siberiano Dullsky (attualmente residente in
Moldavia…), è un incontro strambo e spiazzante.
In
“Freedom Reflex (One)”, si assiste ad un crash bizzarro,
che visto dalla nostra angolazione, marcia ed occidentale, suscita
singolari accostamenti, nell’improbabile tentativo di render l’idea
(un’idea che sia una…).
Flautista e polistrumentista (flauto
traverso, piano Rhodes, sequencers, samplers, percussioni acustiche e
midi, basso e chitarra elettrici), Dullsky, muove un percorso, che
ingloba e digerisce, frammenti etnici, ambient di un’altra epoca, e
jazz, in porzioni fusion, e lounge futuribile.
Le cinque lunghe
composizioni di “Freedom Reflex (One)”, contengono
interventi da parte di: Artem Pustovit, Barandash
Karandashich, Alexander Tankeev, Ray Kondrashov,
Olga Kondrashov, Oleg Apostol e Jana.
Non
perfetto, per nulla, in alcuni passaggi eccessivo, eppure, (sarà
per via della provenienza atipica) zampilla fresco e stimolante alle
nostre orecchie, nel suo approccio stilistico, che più di
un’insidia nasconde (per se stesso, e gli altri…).
Come
rinchiudere nella stessa stanza virtuale, il compianto Jorge Reyes
e Steve Roach, le composizioni di Artemiev per
Tarkovskij, gli ambienti risuonanti di Paul Schütze,
una certa angolazione nello sguardo, che avevamo riscontrato negli
immensi ZGA (qualcuno li ricorda?…), le catastrofi,
pianistico/percussive di Cecil Taylor, e la visione
compositiva di Xenakis.
Reso l’idea?
Manco un poco
credo, eppure, i risucchi e gli strappi, le sgroppate a rotta di
collo, le pause, gli scarti improvvisi e le intrusioni digitali, ci
parlano di puro talento.
Da affinare, da preservare, da giocare
semmai in sottrazione (potrebbe tramutarsi in incubo vero
altrimenti…).
In poche parole, da annusare e seguire con
attenzione (in tutti i sensi…).
Voto: 8
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