Di Diego Giachetti
L’autrice possiede le tre credenziali necessarie per scrivere questo libro. E’ una filologa, sa quindi ricercare, ricondurre al contesto e all’origine la “parola” usata. Insegna da anni lettere nelle scuole superiori, sa quindi ridurre efficacemente a spiegazione e comunicazione ciò che ha appreso e vuole trasmettere. E’ infine, cosa decisiva, una fan attenta e scrupolosa di Francesco Guccini.
L’intero libro è costruito sull’intreccio di queste tre credenziali e vuole evidenziare come il cantautore sia stato capace di restituire in forma cantata la cultura umanistica e la grande storia del Novecento. I riferimenti “colti” nelle sue canzoni sono ovunque, un rimando continuo tra citazioni, parafrasi, richiami di personaggi, un inesauribile gioco di specchi tra testi letterari, realtà storica, vita quotidiana a rappresentazione della propria autobiografia. D’altronde non poteva essere diversamente data la famelica capacità e gioia di lettura che il “nostro” mette in campo fin da bambino. Un lettore onnivoro capace però di assimilare e rendere creativo e produttivo lì apprendimento. Non erudizione fine a se stessa quindi, ma capacità di “fare” qualcosa di nuovo dopo essersi lasciato contaminare e compenetrare delle suggestioni letterarie.
Un processo di costruzione e di produzione, quelli di Guccini, che l’autrice definisce semplice e complicato. Semplice per la sincera e disincanta purezza e ingenuità con la quale guarda il mondo. Complesso in quanto i temi affrontati non sono cosucce da poco, ma quelli universali, le eterne questioni esistenziali che umanisti e filosofi si sono sempre posti.
I vari capitolo che compongono il testo si riferiscono a una o più canzoni specifiche lette e analizzate collegandole agli influssi ricavati da opere letterarie, poetiche o da autori. Il risultato a cui ci conduce l’autrice è sorprendente, avvincente e interessante. Si va dall’influenza dei Crepuscolari, ai giullari medievali, alla Canzone del bambino nel vento (Auschwitz), scritta nel 1964 su suggestione del “verbo dilaniano”, come egli stesso dice, a seguito della lettura del libro di Vincenzo Pappalettera Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen. Poi è la volta di Dio è morto, che fa il verso a Nietzche e del suo Così parlò Zarathustra, ma soprattutto e anche della lettura della famosa poesia di Allen Ginsberg, Urlo, pubblicata nel 1965. Non poteva mancare nella produzione degli anni sessanta l’influenza di Keruak, della beat generation, del movimento hippy e dei freak.
Seguono nell’ordine dei capitoli analisi dell’influenza esercitata e riscontrabile nei testi, sempre ben documenta con scrupolo dall’autrice, di Shakespeare, Edgard Lee Masters, Guido Gozzano, Ernest Hemingway, di conoscenze anarchiche (come nel caso de La locomotiva), Eliot, Baudelaire, Umberto Eco, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Procopio di Cesarea per la canzone Bisanzio, il Profeta Isaia, Jonathan Swift, Flaubert, Eugenio Montale, una delle figure letterarie a cui con più insistenza si è accostato, Miguel de Cervantes e poi ancora Omero, Dante, Foscolo… Un percorso lungo, ricco di suggestioni, di interpretazioni, di speranze cantate e di delusioni intimistiche esistenziali cocenti che sfocia in seguito in un’energia ironica e pungente, nel gusto di colpire a fondo gli avversari, che siano i colleghi cantautori, elette schiere, i falsi intellettuali i giornalisti ignoranti, politici rampanti, portaborse, feroci conduttori di trasmissioni false, nani, ballerine e canzoni. Da questa indignazione nascono canzoni come L’avvelenata, Libera non domine, Cirano, Don Chisciotte e Addio.
Link: Gemma Nocera, Le parole di Francesco Guccini, Torino, Zedde editore, 2009, pp. 207, euro 15.00