(Respira Records/Kick Agency 2009)
Discutevo in un’altra recensione su quanto fosse utile la comparazione tra i gruppi nostrani e quelli d’oltremare e quanto possa essere considerato un complimento il fatto di essere riconosciuti “bravi come loro”. Nel caso dei salernitani Monochromatic System, un complimento del genere sarebbe fin troppo lusinghiero, visto che il loro attuale stile nu soffre di una derivazione davvero eccessiva.
Vuoi per la produzione non proprio delle più dinamiche, vuoi per i riff decisamente anni ’90, i cinque sono fermamente convinti che basti spogliare l’industrial/cyber metal a pedale sparato di Fear Factory e Coal Chamber di ogni minima elettronica o elemento industriale e aggiornarlo in quanto a dinamiche vocali, per uscirsene con un sound fresco e moderno. Purtroppo così non è, quindi ‘Something To Die For’ nasce piuttosto anziano come mentalità.
La voce del cantante Federico Palladino poi fatica perfino a farsi udire sopra un manto obnubliante di pedale e chitarre, e, quando riesce, francamente non mi entusiasma, risultando troppo limitata per affrontare vocalizzi puliti e distorti.
A ciò si aggiungono dei testi davvero illeggibili, sia come banalità delle tematiche trattate che nell’utilizzo assolutamente casuale dell’inglese, tanto da dar vita a frasi intraducibili e insensate come poche ne avevo viste finora. E il buon signore (quello con la S maiuscola, politico o religioso scegliete voi) sa che ne ho viste, ma vedo che i miei ripetuti inviti a far almeno rileggere i testi da un amico che ne sappia un minimo d’inglese, cadono spesso nel nulla.
Occorrono più studio, più impegno, un sound meno derivativo e un diverso approccio. Rimandati. Non ci siamo proprio.
Voto: 4
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