(Autoprodotto 2007)
Un sapore di polveroso country – folk rimane nella bocca dell’ascoltatore di questo disco di esordio del cantautore okie (così sono chiamati gli abitanti dell’Oklahoma) Adam McBride – Smith. Benché il disco sia uscito negli States due anni fa, è solo nel 2009 che riesce ad approdare nel Vecchio Continente, permettendoci di conoscere questo menestrello dallo stile americana al 100%. Tanto country, blues, folk, con qualche virata jazzy per questo disco (non a caso prodotto da Malachi De Lorenzo e Paul Defiglia, già con Langhorne Slim) che sembra uscito da una bettola del profondo sud americano.
Single Room introduce l’album con un breve strumentale con sola chitarra acustica, quindi St. Cecilia’s Street segna l’inizio vero e proprio dell’album, tra chitarre furibonde, archi leggiadri e un mood spensierato che contraddistingue tutto l’album. Have You Changed Your Ways? volteggia a tutta velocità in un ballo sfrenato da saloon trascinante al quale si contrappone la dimessa I Want To Leave You, cupa ballata sorretta dai tocchi lievi della chitarra di McBride – Smith. In Into The Night l’atmosfera rimane oscura ma più romanticamente jazzy, irresistibile e cullante nella sua delicatezza tra archi delicati e una batteria morbidissima. Bad Connection si sposta verso un blues – rock più potente che si discosta da tutto il resto dell’album ma rimane un episodio isolato, come ci ricorda la desolata ballata Keep On Walking. Sister Alice prosegue su questa linea, cullata da archi che stavolta si fanno sofficemente cinematici. Tetherball si torna verso atmosfere più gioiose, qui quasi circensi. The Farmer’s Daughter si sposta di nuovo verso lidi jazzy di dolce malinconica, subito abbandonati per lasciar spazio all’oscurità minimale di Sad Mona, che sinuosa si districa tra le melodie del violoncello e la voce di Adam. (You’ve Got Your Hands On) Everybody’s Business riprende toni più allegri, da festa popolare, tutti da fischiettare. Due bouns track completano il disco pervenutoci: Blue è all’insegna di un folk leggiadro e festante, mentre Leave The Light On, pur sempre in ambito folk, si fa più vicina a un pop triste e dimesso.
Niente di eclatante o mirabolante nel disco del cantautore americano; solo solida e piacevole musica radicata nel tradizione a stelle e strisce. Tutto perfetto, forse anche troppo, manca il guizzo che elevi il disco dalla mediocrità. Buon esordio, ma un uso più raffinato degli archi potrebbe essere la chiave per evoluzioni più interessanti.
Voto: 6
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