@Caserta Rock Festival 12/09/2009
Di Lorenzo Giroffi
12 Settembre. E’ circa la una quando i monitor dei computer posizionati sul palco s’illuminano, le cinghie degli strumenti si stringono attorno ai musicisti (il batterista fiancheggia il palco, il bassista è subito dietro Bugo, il dettatore di beat e synth è alla sinistra del cantautore novarese) e le luci smettono d’incedere per divenire soffuse. La cornice abituale di eventi e contenitori rock, fatti di inferiate su cemento, in questo caso è sovvertito: sequenza di alberi e distesa di terra (Biancano, nei boschi di CastelMorrone), scenario ch’evoca sonorità da rave party.
Il vocoder stimolato dal musicista (i tre sembrano clonati: dotati di stessa calvizia, stessa maglia da singolo e stessi occhiali da vista) piazzato dietro i synth prepara il campo:”Siete pronti?”
L’attacco è affidato all’ultimo singolo lanciato dall’album ‘Contatti’: Nel giro giusto, manifesto del nuovo Bugo, con beat marcati ed ironia testuale. Quasi un ponte sul suo percorso musicale, che da ‘Golia e Melchiorre’ (2004), passando per ‘Sguardo Contemporaneo’ (2006), fino a quest’ultimo, ha plasmato la nuova identità: lasciato per strada il chitarrone acustico e consegnatosi ad un elettrico-elettronico.
Ripropone Gel (‘Sguardo Contemporaneo’) per poi ritornare al nuovo album con La mano mia (ancora input che fanno molleggiare il pubblico sotto al palco), Love Boat e C’è crisi.
Non concede attimi di nostalgia. Delusione per chi s’aspettava che le luci ritmante, le basi computerizzate e le distorsioni cessassero per un attimo, lasciando spazio alla vecchia voce rauca accompagnata da corde acustiche. Così nessun ritorno al passato, nessuna riproposizioni di brani dai vecchi album come La prima gratta o Sentimento westernato. Concede solo un pezzo d’annata: Che diritti ho su di te ¿, che ha inserito nella riedizione di ‘Contatti’, naturalmente non nella classica versione acustica, ma rispettando i nuovi canoni “bughiani”. Poi a raffica Amore mio infinito (riarrangiata in vena sanremese) e Primitivo, che per un attimo ripropone il Bugo vecchio stile, impacciato, poco avvezzo ad atteggiamenti da rock star: si fa scivolare il plettro dalle mani. E’ solo un attimo. Ritorna subito a rispettare movenze da rocker, all’interno del suo poncho, con un taglio di capelli ben delineato ed un’insolita barba incolta. Parte un classico giro rock and roll, che fa tuffare il cantautore tra la folla. Frutto di un nuovo show, di una nuova pelle musicale, che tra pressioni, limitazioni e soddisfazioni consigliate dalla grossa etichetta discografica (Universal) che lo segue dal 2002, gli ha fatto decider di lasciare lontano dal palco i disadattati sociali, che faceva suoi nei primi album, per far impazzar sotto al palco pubblico abituato ai più canonici canali di comunicazione.
Evoluzione o rinnegamento? Il confine è labile, ma comunque va riconosciuto a Bugo d’essere stato tra i pochi personaggi (in un Paese nel quale o sei Re dei pochi o vieni scelto da format precostituiti disegnati per il grande pubblico) ad essere riuscito nel farsi apprezzare sia nella scena underground, che in quella da comunicazione di massa.
Dopo esser uscito di scena, ritorna sul palco con Casalingo, anche questa volta con una rivisitazione elctro. In conclusione c’è spazio per la base di La mano mia: toglie il poncho e tenta coreografie da foto di gruppo con la band.
Tempi stretti e scaletta intensa, come da programma per un festival serrato (al suo interno ospita anche un contest per band emergenti), che nella stessa serata ha ospitato anche gli Amari ed i The Collettivo.