(Nagual/Nomadism/Masterpiece 2009)
Esordio sulla lunga distanza per i cesenati Suez, che dopo un paio di ep interessanti trovano la produzione della Nagual (costola della Nomadism Records) e danno vita a questo interessante full lenght dalle sonorità post-punk dal gusto elettronico, figlio tanto dei Talking Heads quanto del surrealismo postmoderno dei Devo, senza dimenticare la lezione new wave e con liriche maleodoranti che contrastano col vitalismo di una musica che nel dancefloor ci sta bene eccome.
Si parte con i gorgheggi sintetici della title track, un paradiso schizoide di chi si tappa le orecchie per non ascoltare quella vocina che ci dice che siamo inesorabilmente destinati a fallire. Clocks si tinge di colori più oscuri, il passo si fa più oppresso e delirante e ci guarda sinistramente ma irresistibilmente ci spinge a ondeggiare. The Rest spinge sul tasto della ripetizione minimale e ossessiva, ipnotica ma così “patinata” nella sua sinteticità da non farci paura. What Rain? torna a graffiare all’insegna di chitarre distorte e di un cantato psicotico che richiama alla mente Isaac Brock (mister Modest Mouse). Headache torna a martellare ritmi incessanti ma si fa inquietante e dark, come se agli Interpol fosse andato in corto circuito il cervello per eccessiva esposizione alle luci stroboscopiche delle discoteche newyorchesi. Life is a Dream ha in sé una massiccia dose di irriverenza che la rende quasi un teatrino dell’assurdo. In My Mud scopre strutture vagamente blues che sorprendono ma vanno sempre a finire in un tripudio di gingilli elettronici da ballare. Walk On The Water invece sempre un pezzo totalmente astruso dal disco (e forse poteva essere evitato): una ballata nera, depressa e deprimente che spezza il mood schizofrenico e colorato del disco. Ma è solo un episodio, perché già con I Keep On si torna ai deliri della prima parte del disco, anche se sembra che la carica di follia vada pian piano scemando. I See The Light chiude il disco spingendo all’estremo l’uso dell’elettronica ma perdendone in vivacità e surrealismo, riducendo il tutto a un duetto sincopato tra synth e batteria.
Un disco che fa un po’ da summa a quanto successo nella scena alternativa nella prima metà degli anni ’80, sulla scia della ventata revivalista degli ultimi anni, ma che tuttavia si fa apprezzare per la carica di energia insita e per l’uso penetrante e sapiente delle fonti sintetiche, macchiato forse dalla caduta di stile nella parte finale. Comunque i ragazzi hanno stoffa per farsi notare.
Voto: 7
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