(Setola Di Maiale 2009)
Son trascorsi dieci anni, dall’ultimo incontro con il progetto
Gbur.
Ci avevano lasciati con il doppio “Integrale”,
e sinceramente, sembrava faccenda chiusa a quel punto.
Troppo
frenetici gli interpreti di sempre (o quasi), Dominik Gawara,
Stefano Giust, Ivan Pilat e Daniele Pagliero.
Idee,
esecuzione e produzione, a ciclo continuo, senza quasi neanche la
possibilità di sudare, o farsi una pisciatina.
Eppure,
invece, quando meno lo aspetti, Gbur torna.
Torna con i quattro
sopracitati, più, Davide Did Lorenzon, Alessandro
Fiorin Damiani, Alberto Collodel e Stefano
Ferrian.
Tornano in otto, ma si lascian tutti adeguato spazio,
esibendo arte mimetica gentile e livido fervore che non lascia
ecchimosi evidenti (ma agisce sul lungo termine…).
Trastullandosi
live, con basso acustico, kaoss pad, batteria ed oggetti, sax
baritono, tromba e voce, samples, elettronica , clarinetto basso, sax
tenore e sax alto (qualcos’altro che perdo…), Gbur, svomitazza sei
tranci di carne viva, che nascono infetti d’impro, ma ben più
strutturati d’uno sberleffo paiono.
Saltando la fase aggressiva,
Gbur, si incaponisce (bene…), nell’indagar, un territorio in forte
pendenza, dove è possibile imbattersi in fantasmi Miles,
riletti in chiave noir e trascritti su corpo Laswell
(sottraendovi quella fastidiosa punta di snobismo world music.
L’approccio, questo, è rustico, odoroso, e debitamente di
taglio punk dadaista).
Cool come pochi; altroché.
Leoni
con più criniera in questo terzo atto, i due sempre di casa
nel progetto, Giust e Gawara, ed il quasi sempre (di casa),
Pagliero.
Fra pelli, legni e metalli, sbreccolamenti ritmici,
gomme sintetiche e corde in simil loop (di gomma, pure queste, quasi,
paiono, forse…).
E si ha voglia, di non dover attendere altri
dieci anni.
Nel catalogo Sst di un tempo, avrebbero fatto
un figurone, ora, li dovrebbero pagare, per starci su quel
catalogo.
Eretici in frenetica azione funk (la nostra
Arkestra?).
Voto: 8
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