(Morr 2009)
Forse i Mùm, dopo un peregrinare quasi decennale (sembrano così lontani oggi i tempi dell’esordio “Yesterday Was Dramatic, Today Is Ok”, datato 2000), ce l’hanno fatta. Finalmente la band islandese è approdata al pop, senza tuttavia tradire le radici folktroniche che avevano fatto gridare al miracolo all’uscita del secondo disco “Finally We Are No One” (2002).
Dopo due lavori così così e l’abbandono delle sorelle Valtysdottir per i Mùm sembrava configurarsi prematuramente un futuro meno radioso di quanto era parso agli inizi della loro carriera. E invece questo nuovo disco ci consegna un gruppo che ha trovato la sua identità nella dimensione pop senza per questo svendere quella miscela di folk sibillino ed elettronica ambientale che è tutt’ora il loro tratto distintivo.
L’album è assai variegato ma i cambi sia umoristici che stilistici sono sfumati in maniera impercettibile, creando un continuum fluido e ribollente pur senza esplosioni fragorose di potenza. Si parte con la delicatissima If I Were a Fish, minimalismo folk non lontano da certi Tunng, si prosegue con la più vitale Sing Along, penetrata da ronzanti pulsazioni elettroniche a fare da scheletro. La gioiosità contagiosa di Prophecies & Reversed Memories sembra quella di un balletto tra i ghiacci polari, mentre con A River Don’t Stop To Breathe si passa ad un mood più dimesso, con rumori sintetici da fabbrica delle favole a rendere il tutto magicamente caloroso. Il ritmo incalzante di The Smell Of Today Is Sweet Like Breastmilk In The Wind riporta ai fasti dei primi lavori ma l’ariosità degli archi crea un disegno straniante, fiabesco e tiepido come un sole primaverile. Con Show Me, delicata filastrocca intrisa di malinconia che fa il paio con la successiva Hullaballabalù, si apre la seconda parte del disco, decisamente più dimessa della prima. Blow Your Nose è una filastrocca raggelata nella sua sottilizza sinfonica, una passeggiata nel bosco al tramonto tra cespugli che si muovono scossi dal vento e cerbiatti che fanno capolino qua e là. Con la surreale cantilena onomatopeica Kay-Ray-Ku-Ku-Ko-Kex ci sia accompagna in questo cammino a metà tra la paura e il sogno prima che Last Shapes Of Never segni proprio la fine di quest’ultimo in una dimensione oscura, quasi maledetta. Con Illuminated il cammino nell’oscurità si fa misterioso, ma ormai è ora di svegliarsi e Ladies Of The Last Century, sulle leggere note di un piano, lo fa con la delicatezza con cui un’amorevole mamma ci sveglierebbe da un sonno lungo una vita.
“Sing Along To Songs You Don’t Know” è un disco compatto, arioso grazie alla vasta orchestrazione, che segna una cesura rispetto al passato ma lo fa guardando al futuro, verso lidi più folk-pop e meno elettronici, con la sapienza di chi dopo vari tentativi sa di aver trovato la strada giusta.
Voto: 8
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