(Emi 2009)
I Doves, a mio modesto parere, sono uno dei gruppi più sottovalutati tra tutti quelli che a cavallo tra fine anni ’90 e inizio del nuovo secolo hanno invaso il mercato discografico mondiale. Se penso al successo planetario dei Coldplay e a quello certamente minore ma comunque di un certo rilievo di band come Snow Patrol, Badly Drawn Boy ed Elbow non capisco perché questi tre ragazzotti di Manchester non siano stati in grado di sfondare a livello planetario, restando un creatura nel limbo delle band apprezzate (tanto da approdare alla Emi) ma mai in maniera totale. Eppure dischi come “Lost Souls” e “Some Cities” non avevano niente da invidiare a successi del calibro di “Parachutes”.
Sta di fatto che i nostri, alla quinta uscita discografica, tirano fuori un album solido, senza sbavature, ma forse anche stavolta quel che è mancato è la canzone capolavoro, un brano irresistibile che li consegni all’immortalità nel paradiso delle rockstar. Ma questo “Kingdom Of Rust” è comunque veramente bello, mantiene un marcato stampo pop-rock ma non disdegna virate elettroniche di varia natura (dalla quasi techno del brano di apertura Jetstream, ai vagiti più eterei tra l’ambient e il post-rock di 10:03, con tanto di cavalcata quasi prog nella parte finale, fino al ritmo ammiccante vagamente funky di Compulsion e le sonorità radioheadiane di House Of Mirrors) e orchestrazioni ariose quasi cinematiche (la parte finale di Kingdom Of Rust, così come quella di House Of Mirrors, sembra quella di un Morricone trasportato nel nebuloso e freddo Nord), che tornano a delineare il mondo freddo ed sibillino che i Doves hanno eletto a loro casa musicale, come la lezione dei My Bloody Valentine (almeno a livello di atmosfere) sembra aver loro imparato.
Ribadisco, disco ineccepibile, ma anche stavolta i manchesteriani mancano l’affondo vincente. Forse è tardi per aspettarsi più che un lavoro da buoni artigiani del pop-rock alternativo.
Voto: 7
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