(Dizlexiqa/Salterò 2009)
Come un’araba fenice (o meglio, passatemi la triste battuta, un’araba pecora) dalle ceneri dei Crautoradio nascono i Pecora, gruppo che rispetto al suo predecessore ha visto praticamente soltanto un piccolo cambio di line-up, con l’ingresso di una nuova chitarrista.
Qualcuno chiama post-punk il loro genere, che del punk originale condivide quella potenza e quella voglia di fare critica politico-sociale che ce li fa assimilare a CCCP e Massimo Volume, ma musicalmente siamo più in territori post-hardcore industriale, con l’ossessione per la ripetizione e ritmiche marziali quasi math (in Benedetto i nostri campionano la batteria dei Battles) che farebbero piacere a Steve Albini e soci, discostandosene però per una maggiore volontà pop.
I Pecora ne hanno un po’ per tutti: il Papa (Benedetto), la politica che collide con i poteri economici (L’Erba Voglio), la televisione (Il Qualcosologo), creando atmosfere burlesche e surreali che poi in realtà sono bozzetti del mondo in cui viviamo. Notevole anche la cover dei punkers Crass che chiude il disco, The Sound Of Free Speech, completamente trasfigurata in atmosfere raggelate e oscure in cui lo spettro dei Suicide sembra essere dietro l’angolo ad aspettarci.
Un disco che guarda all’angolo oscuro della modernità nella forma dell’angolo oscuro della musica, creando uno stile personalissimo la cui unica pecca è forse solo quella di non spingere troppo sull’acceleratore della creatività. Aspettiamo con curiosità ulteriori sviluppi, sperando che i nostri mollino il freno della schizofrenia critica nel quale si sono inquadrati.
Voto: 8
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