(Nonesuch 2009)
Gli Wilco di Jeff Tweedy sono ormai una delle creature di riferimento del mondo alternativo contemporaneo, con all’attivo lavori di assoluto livello nell’ambito del folk-rock, quali “Yankee Hotel Foxtrot” e “A Ghost Is Born”. Ma anche l’ultimo album, datato 2007, “Sky Blue Sky” aveva dato l’impressione di una band tutt’altro che pronta ad adagiarsi sugli allori, ma ancora vogliosa di spingere sull’acceleratore della ricerca sonora e dell’affinamento delle tecniche e del mood dei dischi migliori.
Stavolta invece Tweedy e soci confezionano un disco ineccepibile, perfetto, ammaliante per chi non conosca il Wilco world. Ma per chi come me li segue da parecchi anni il sapore è quello che sia quando un vecchio amico torna a casa dopo qualche mese di lontananza: sono cambiate le melodie, le parole, ma lo stile, le sonorità sono quelle di sempre, quelle che ci hanno fatto innamorare del folletto americano.
Il ritorno di questo vecchio amico che conosciamo da tempo non ci riserva grosse sorprese, ma lo vediamo maturato sotto tutti i punti di vista: Wilco (The Song) col suo incedere sbarazzino potrebbe stare tranquillamente in testa a “Summerteeth”; il folk-country delicato e intimo di Deeper Down dà nuovo smalto alla dimensione più introspettiva della band; One Wing e Bull Black Nova tornano a scoprire i fantasmi che spesso popolano le composizioni di Tweedy, specie nella seconda delle due tracce, che, con l’ossessiva ripetizione del piano e i riff chitarristici graffianti, sembra la rimaterializzazione di Spiders (da “A Ghost Is Born”); l’atteso duetto con Feist You And I si risolve invece in una ballata tutto sommato piatta, senza sussulti, di due grandissimi che si incontrano e intrecciano due splendide voci in un unicum pronto per le radio; You Never Know sembra un ritorno al pop-rock dal sapore folk delle origini; Country Disappeared descrive impietosamente una nazione distrutta dal male, dal sangue, dalla follia omicida con il tocco soffice e dolente che caratterizza tutti i lenti di Tweedy; Solitaire si immerge nel mood dimesso di questa parte dell’album, adagiandosi su arpeggi appena accennati di chitarra e le carezze lisergiche dell’organo; I’ll Fight richiama la struttura ripetitiva del testo di On And On And On (da “Sky Blue Sky”) con un incedere però brillantemente dolente, con la pienezza di spirito di chi si alza ogni mattino pronto a dare tutto per ciò in cui crede (è questo il senso del testo); con Sunny Feeling torna alla gioiosità giocosa della traccia d’apertura, prima che Everlasting Everything chiuda il disco con una ballata sanguinante che sembra togliere ogni speranza di salvezza, ogni speranza di poter trattenere vicine a noi le cose che amiamo.
E così come è arrivato, il nostro caro amico Jeff Tweedy se ne va, in punta di piedi ma lasciandoci in bocca l’amarezza dell’abbandono. La visita è stata piacevole, ci ha fatto ricordare quanto erano belli i tempi andati. Si poteva fare di più, senza dubbio, ma questo album (significativo il fatto di dargli il nome del gruppo, come a farne proprio una summa di quanto fatto finora, un emblema dell’entità Wilco) ci consegna che ormai ha trovato la quadratura del cerchio e forse non vuole intaccare questa struttura perfetta. Griderei al miracolo se si trattasse del lavoro di qualche gruppetto all’esordio o poco più, ma per Jeff oltre un’ampia sufficienza non si può andare.
Voto: 7
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