Bloody Sound Fucktory

Quattro chiacchiere digitali con i membri dell’etichetta Bloody Sound Fucktory

 

 

 

 

 

Di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

26/12/2009: La Bloody Sound Fuktory è una delle neonate realtà marchigiane che in poco tempo sta creando un parterre di tutto rispetto facendo uscire album di bands che trafficano piacevolmente con il rock’n’roll più selvaggio, il garage, la new wave, il noise, il punk e i suoi postumi. Kathodik ha voluto provare a fare chiarezza facendo le sue consuete quattro chiacchiere digitali con Alessandro (anche nobile polpastrello digitale di Kathodik) e Jonathan, i cosiddetti 2/3 della trimurti Bloody Sound (assente giustificato, ma recuperato in foto, Refo). 

Quali sono le origini dell’etichetta? Come è nata l’idea? Quali ispirazioni ci sono state? A quali modelli, se ci sono stati, si è fatto riferimento?

Bloody Sound nasce nel 2004 come fanzine cartacea (Bloody Sound Fanzine, appunto) con lo scopo di parlare, tra l’altro, dei gruppi del territorio secondo noi più che validi, ma che non avevano visibilità. Allo scopo di promuovere la musica di cui si parlava e di portare avanti la fanzine abbiamo iniziato a organizzare eventi, in cui le band della zona erano affiancate a nomi più noti della scena underground nazionale, per creare una sorta di contatto tra la provincia nostrana e la scena nazionale. Parallelamente nasce il Bloody Sound System, sorta di dj-set e strumento di animazione con una doppia funzione: festa danzereccia dopo il concerto, per richiamare quanta più gente possibile, e voce concreta per la divulgazione di quanto trattato nella fanzine. Qui la differenza, secondo noi, con altri “dj-set” spuntati in seguito come funghi, a puro carattere ludico, senza alcun fine vagamente culturale.

I proventi delle serate organizzate venivano sempre completamente reinvestiti nelle spese di stampa della fanzine, finchè non ci siamo resi conto che con quei soldi sarebbe stato possibile produrre dei dischi: nel 2006 Bloody Sound Fanzine lascia dunque il posto a Bloody Sound Fucktory, sorta di laboratorio creativo dove poter coniugare produzioni discografiche, organizzazione di eventi e grafica. Quest’ultimo aspetto ci ha in realtà contraddistinto sin dall’inizio grazie all’opera di Refo, che si è evoluta parallelamente alla storia di Bloody Sound grazie all’esperienza fatta prima con la fanzine e i flyers delle serate, e in seguito con gli artwork dei dischi e una vera e propria produzione di poster art.

Raccolti i fondi necessari, l’etichetta discografica accende i motori a inizio 2007 e da allora continuiamo a macinare, nel limite delle nostre possibilità: siamo giunti alla dodicesima uscita e, rispetto agli inizi, siamo coscienti di una crescita notevole: innanzitutto ragioniamo più come una label nazionale, non solo legata al territorio (verso il quale manteniamo comunque un occhio di riguardo), e lo testimoniano le produzioni di gruppi e artisti di altre regioni quali Plasma Expander o Welles. Inoltre il nome Bloody Sound è ormai diffuso e conosciuto in ambito underground, basti pensare alle coproduzioni con label affermate, gli inviti e le partecipazioni dell’etichetta o dei nostri gruppi a eventi di rilievo in ambito indipendente come il TagoFest, l’AntiMtv Day o l’Here I Stay Festival.

Ispirazioni e modelli di riferimento: in quanto ad attitudine, diremmo le etichette con le quali siamo cresciuti, ovvero Amphetamine Reptile, Dischord, Touch & Go… se parliamo più in concreto, Wallace, Bar La Muerte, Psychotica, che sono venute prima di noi e ci hanno dimostrato che era davvero possibile realizzare qualcosa.

Come scegliete i gruppi e le produzioni?

Sicuramente in base ai gusti musicali, per quanto vasti e diversi tra noi tre bloodysoundiani: la base comune è fatta degli ascolti con cui siamo cresciuti, che vanno dal post punk/new wave fino al noise degli Anni Novanta, senza escludere quanto di buono c’è stato prima (soprattutto) e dopo (forse un po’ meno…).

Più che fare un discorso di genere, ciò che ci deve convincere è l’attitudine di un gruppo, del suono, della proposta; come dimostra il catalogo infatti, non siamo certamente un’etichetta settoriale che si occupa di un unico genere.

Un ultimo aspetto: c’è di certo un occhio di riguardo per la scena locale, il che non significa però che facciamo beneficienza ai gruppi del nostro territorio: noi facciamo ciò che ci piace, punto e basta. Nel tempo sono state rivolte verso Bloody Sound delle vere e proprie critiche che ci descrivevano come una sorta di piccola mafia locale, con il suo alveolo di gruppi e locali e tutti gli altri esclusi: noi abbiamo sempre e solo seguito i nostri ideali con onestà intellettuale. Nessuno vieta a chi non trova spazio in Bloody Sound di sbattersi come abbiamo fatto noi per suonare, organizzare eventi e in generale creare qualcosa. Bloody Sound non è né una combriccola di mecenati, né un organo della Pro Loco.

Come sono i rapporti con i musicisti?

Nella maggior parte dei casi si tratta di persone con le quali siamo cresciuti e con cui abbiamo condiviso molte situazioni legate alla musica: una crescita comune sì musicale, ma innanzitutto dal punto di vista umano.

In molti casi si parla dunque di amicizie storiche, amicizia che però, ribadiamo, non è condizione sufficiente per farci produrre un gruppo: molti sono gli amici-musicisti dei quali abbiamo prodotto dischi, ma molti di più sono quelli per cui non l’abbiamo fatto.

Cosa pensate delle coproduzioni?

Riallacciandoci alla risposta precedente, molti dei musicisti che produciamo hanno dato vita nel tempo ad altre realtà, simili o affini per intenti alla nostra: pensiamo a Valvolare Records, a Marinaio Gaio, a Caps & Tuna e altri ancora. Coproduzioni e collaborazioni sono dunque spesso un percorso naturale.

Attualmente inoltre, per realtà delle dimensioni di Bloody Sound e per la situazione che vive oggi il mercato discografico underground, non solo in Italia ma a livello globale, la coproduzione è una prassi necessaria e logica, per lo meno dal nostro punto di vista: è infatti quasi impossibile per un’etichetta produrre un’uscita in 500 copie e pensare di rientrare nei costi sostenuti con le vendite, senza adeguate promozione e distribuzione, costose le prime e poco ricettive le seconde per le piccole etichette.

Secondo la nostra esperienza quindi la coproduzione s’impone come unico mezzo per evitare suicidi commerciali annunciati: suddividendo i costi tra tre o quattro etichette, dislocate sul territorio nazionale e ciascuna con il suo piccolo mercato locale, è possibile anche favorire una distribuzione più organica delle singole produzioni.

Naturalmente è importante avere un minimo di razionalità nella scelta delle etichette con cui collaborare; negli ultimi due anni abbiamo avuto più coproduzioni con Valvolare e Sweet Teddy Records, e al momento due delle ultime tre uscite sono in collaborazione con Wallace, sicuramente un motivo di orgoglio per noi.

E’ importante infine ricordare che dietro ad un’etichetta ci sono delle persone, e anche in questo caso il rapporto umano è fondamentale. Oltre ai casi già citati, altre etichette con cui abbiamo stretto un legame forte sono la fiorentina fromSCRATCH, la Brigadisco di Itri (LT), la torinese Escape From Today e la tarantina Lemming Records: tutte etichette che non mettono soltanto i soldi per la produzione, ma che si impegnano anche a promuovere i dischi e a procurare delle date ai gruppi. Dato che i soldi che si investono difficilmente rientrano, se non in tempi molto lunghi, lo scopo principale di una produzione è quello di far suonare il gruppo e di farlo conoscere il più possibile.

Quali pensate siano state, analizzando questo primo spaccato di uscite, le vostre produzioni migliori? Quali le peggiori?

Dovendo sputare sangue per ogni singola uscita, certamente non pubblichiamo dischi se non siamo sicuri al 100% del loro valore, per cui è proprio difficile trovare alti e bassi secondo noi evidenti.

Più che parlare di top & flop, diciamo che ci sono dischi che ci piacerebbe aver prodotto diversamente, come “Ultimate Dollar Oblivion” di Welles, uscito per questioni economiche in cd-r con confezione low cost, e dischi che sono rimasti nel cassetto o che sono stati poi prodotti da altri, pensiamo a Guinea Pig, Vel, Above the Tree, o ancora Welles.

Con chi vorreste collaborare?

Gauge, Aurora Snow e Belladonna.

Come vedete la scena musicale italiana?

Non si può negare che vi sia stato un salto in avanti rispetto a un decennio fa: abbiamo assistito a una vera e propria esplosione della provincia italiana, basti pensare alla scena qui da noi, impensabile fino al 2003/2004, o al Nord Est… insomma, il rock (e dintorni) si è diffuso in maniera capillare in tutta Italia, e si è passati da un livello “amatoriale” a un approccio più serio, più cosciente. Mancano forse picchi evidenti tra la massa di band e registrazioni, ma la crescita c’è, ed è notevole. Certamente è dovuto a una serie di fattori, ognuno con mille implicazioni… internet, myspace, il peer to peer… l’aumento del numero dei locali live, la riduzione dei costi e delle difficoltà di registrazione… la masterizzazione a portata di tutti… e chi più ne ha più ne metta. Tutte questioni che andrebbero trattate in maniera più approfondita.

Come vedete la scena live italiana?

Come dicevamo, negli ultimi dieci anni sono aumentate esponenzialmente le possibilità per i gruppi di esibirsi dal vivo. Ma a guardar bene attualmente le cose sembrano aver imboccato un’inversione di tendenza. Forse qualcuno (magari in buona fede) ha intravisto in questo proliferare di gruppi, suoni, etichette la possibilità di speculare e allora ecco che lo spontaneismo di talune espressioni culturali ha voluto in qualche caso darsi un’aria più professional, finendo però per causare più danni che giovamenti alla “scena” in generale. Pensiamo ad esempio alle agenzie di booking che hanno senz’altro una certa responsabilità in tutto ciò, in quanto, mirando al profitto, hanno abbassato lo standard e alzato forse un po’ troppo i livelli economici: questo provoca notevoli difficoltà per i locali, che sono spesso costretti ad abbassare il livello della qualità per acchiappare più gente possibile, sfruttando la facile e vuota etichetta di “musica indie”. Inoltre meccanismi simili finiscono per indebolire implicitamente anche la capacità creativa di chi si avvicina alla musica da musicista. È inevitabile che chi decide di metter su una band lo faccia seguendo gli stimoli che gli vengono dall’ambiente circostante. In ogni caso, tornando ai luoghi deputati alla musica live, la stagione che stiamo vivendo preannuncia la chiusura di un gran numero di locali: le leggi sull’alcool, la generale aria repressiva, il dictat dell’ordine pubblico, le vere e proprie crociate istituzionali contro centri sociali e circoli Arci, il “tutto in regola” come alibi per far fuori realtà non gradite prese come capro espiatorio, la crisi reale o percepita… si prospetta un periodo di difficoltà per la scena live.

E inoltre c’è la sensazione che stia calando anche l’interesse della gente, che però in fondo avviene periodicamente e sistematicamente… speriamo sia il cambio di generazione. Comunque se dovesse tornare un periodo di oscurantismo probabilmente servirebbe anche a rigenerare l’urgenza espressiva dei musicisti… in fondo qui da noi le cose migliori sono nate dal nulla, nel senso che hanno le loro radici in periodi in cui a livello di concerti e situazioni c’era veramente poco o nulla.

Progetti futuri?

Al momento stiamo portando avanti una rassegna live ospitata da La Cupa, il centro sociale anconetano, intitolata Back From the Crisis: una serata al mese in cui ospitiamo band e artisti di altre regioni tra cui Welles (Massimo Audia dei Santantango), i Microwave with Marge, Drink to Me, Plasma Expander, The Hutchinson, affiancate a gruppi della zona come Edible Woman e Butcher Mind Collapse. E in questa rassegna abbiamo inaugurato due serie di cd-r low cost, “Outlaw collection” e “Italian Underground Serial Decade 2000-2010”, due collane fuori dagli standard di mercato con l’unico scopo di diffondere un po’ di conoscenza musicale. La prima dedicata alle origini del rock, con volumi monotematici che vanno dal rock&roll, al country, al blues delle origini, al rhythm&blues, fino a toccare surf, easy listening, soul, funk, beat, garage e altro ancora. La seconda invece una mastodontica raccolta di quanto di interessante è venuto alla luce in Italia nell’ultimo decennio in ambito indipendente… una sorta di “Nuggets” italiana degli anni zero. Si tratta di un tentativo di documentare la scena nazionale che meriterebbe forse un investimento più serio, ma che in mancanza di denaro crediamo sia meglio di niente. In entrambi questi casi ci riallacciamo un po’ a quelli che sono stati gli stimoli e gli intenti divulgativi delle nostre origini fanzinare.

Per quanto riguarda le prossime uscite ufficiali, sicure al 100% ci sono lo split tra Jesus Franco & The Drogas e Satantango, che vedrà la luce a febbraio / marzo 2010, e il nuovo dei Butcher Mind Collapse, per il quale però l’attesa è ancora lunga. Per il resto idee, voglie, sogni nel cassetto e fuori dal cassetto: Edible Woman. Mattia Coletti. Vel. Mr Whore. Fugazi.