Mikhail Shishkin ‘Lezione di calligrafia’

Di Marco Loprete

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Mikhail Shishkin, classe 1961, è considerato uno dei maggiori autori russi contemporanei. Opere come “Capelvenere” (2006) e “La presa di Izmail” (2007), entrambi editi in Italia da Voland, hanno ottenuto non solo il favore del pubblico e della critica, ma anche importanti riconoscimenti.

“Lezione di calligrafia” è un altro eccellente esempio del fulgido talento di Shishkin. In esso vi compaiono due storie, un racconto lungo, “Lezione di calligrafia” per l’appunto, ed un romanzo, “Memorie di Larionov”, unite da tema comune: la scrittura. «La lettera maiuscola […] è l’inizio di tutti gli inizi, […] il vagito di un neonato. Solo fino a poco fa non c’era nulla, l’assoluto nulla, il vuoto, e per altri cento o mille anni avrebbe potuto non esserci nulla, ma ecco che all’improvviso questa penna si piega a un’ineffabile volontà superiore e traccia una maiuscola senza potere più fermarsi. […] Nella prima lettera, come nell’embrione, è racchiusa tutta la vita a venire fino alla fine, lo spirito, il ritmo, l’impeto e l’immagine». La scrittura, dunque, come metafora della Creazione, della Vita, della «speranza e paradosso dell’essere», ma anche dell’intima connessione di tutte le cose del mondo. «Prenda due punti, due oggetti qualsiasi nello spazio: si potrà sempre tracciare una linea che li collega. Tra le cose del mondo, fili invisibili: tutto è reciprocamente e indissolubilmente legato». L’imperfezione dell’umano e le sue paure si manifestano sul foglio per tramite dell’inchiostro. Tracciare una linea perfettamente retta, scrive Shishkin, è impossibile per l’uomo. Essa è un ideale verso cui si tende vanamente. Del resto, «la penna è solo un registratore che incide su carta i sogni, le paura, i vizi e le virtù che pungolano la mano. Tutto ciò che accade nella vita va a finire sulla punta del pennino».

Ecco dunque il legame tra il primo racconto, una sorta di dialogo tra l’autore e una figura femminile che si sdoppia, si triplica, si quadruplica, si quintuplica fino ad assumere le sembianze di altrettante celebri eroine della letteratura russa (Sof’ja Pavlovna da “L’ingegno porta guai” di Griboedov, Tat’jana Dmitrievna da “Evgenij Onegin” di Puškin, Nastas’ja Filippovna da “L’idiota” di Dostoevskij, Anna Arkad’evna da “Anna Karenina” di Tolstoj e Laročka da “Il dottor Živago” di Pasternak”) e le memorie Aleksandr Larionov, proprietario terriero vissuto nella prima metà dell’Ottocento: la speranza che l’esercizio dello scrivere, mettendo ordine tra i tasselli di esistenze infelici, possa in qualche modo riscattarle e dar loro un senso – qualcosa di simile alla realizzazione dell’utopia della “lettera perfetta”. Sullo sfondo di entrambe le vicende, una Russia magistralmente rappresentata da Shishkin come luogo dell’immobilità, dell’impossibilità e dunque dell’inevitabile naufragio umano.

Un romanzo che ha la statura di un classico.

Link: Editore Voland, 2009