(Mute 2010)
La musica dei Liars è l’evoluzione del lato oscuro del rock, quello che pure repelle ed attrae al contempo e che ha trascinato agli inferi centinaia di divinità musicali e semplici ascoltatori inermi come il sottoscritto. In questo ultimo “Sisterworld” Angus e soci continuano a fare quello che hanno sempre fatto: prendere note e ritornelli, fagocitarli e tirarne fuori brandelli di schizofrenia che talvolta somigliano a composizioni luciferine (il singolo Scissor riunisce in un unicum l’anima da santone e quella sfrenatamente rock del frontman) altre a rap deformi e industriali (Scarecrows On a Killer Slant sono i Subtle shakerati da Patton e Genesis P-Orridge), a volte a esecuzioni classiche martoriate (Here Comes All The People).
Ma nonostante le residue tracce pop siano sparite rispetto all’ultimo, omonimo album del 2007, c’è qualcosa di incomprensibilmente orecchiabile nella struttura sonora di ogni traccia, una sinuosità arabeggiante che serpeggia e quasi ipnotizza. Ma è proprio quando ti stai rilassando che i nostri assestano il colpo.
Se Scissor svela la natura duale della musica dei Liars, con la complessità di No Barrier Fun si torna a pescare nel cassetto da favola oscura di “Drum’s Not Dead”. Here Comes The People genera uno strano intreccio tra costruzioni classiche ed un’inasprita psichedelia barrettiana che con Drip ci fa affondare sempre più lontani dalla luce. Con la nevrosi gracidante di Scarecrows On a Killer Slant l’ambiente si fa sempre più duro. Ma ecco I Still Can See An Outside World, che si apre come un sinistro racconto nel quale si sa già che il mostro è in agguato. Ed eccolo spuntare a metà traccia, quando le chitarre iniziano a sibilare sferraglianti e roteanti, trascinandoci in un oltretomba funereo. La ritmica incalzante di Proud Evolution si combina con suoni sintetici danzerecci facendoci roteare come anime in un girone dantesco. Ma Drop Dead è dietro l’angolo, ricacciandoci in selve oscure surreali da film di Tim Burton. The Overachievers segue con ritmi indiavolati la nostra fuga dall’Ade. Forse ce l’abbiamo fatta. Goodnight Everything stende un velo leggero sul viaggio percorso sfumando su sfilacciamenti pesanti e opprimenti. Tornati in superficie, Too Much Too Much ci consegna alla dimensione del sogno, spedendoci nell’empireo etereo di un sogno che non ha fine.
Un percorso da Divina Commedia in versione pocket musicale. Come altro definire questa sontuosa opera delle entità massime della musica degli anni Zero? Loro, emblema della disintegrazione, della nevrosi, dell’assenza di regole che è diventata unica legge, ci sono vicini. Se i Velvet Underground avevano inquadrato l’inferno dell’alienazione nel quadrato del pop, se i Sonic Youth avevano costruito l’architettura del rock contemporaneo distruggendo quello che era stato in precedenza, se Trent Reznor aveva dato voce alle pulsioni autodistruttive della metropoli occidentale, i Liars hanno tritato il tutto e cosa ne è uscito? Una massa informe, tutto e il suo contrario. Un’opera troppo grande per riuscire ad essere compresa, e come tutte le grandi opere verrà compresa solo col passare degli anni. Istruzioni per l’uso: ascoltare ripetutamente al buio, preferibilmente in cuffia. Ne coglierete tutte le impercettibili sfumature.
P.S.: ne è uscita un’edizione limitata con un secondo disco nel quale artisti del calibro di Thom Yorke, Kazu Makino, Devendra Banhart ed altri reinterpretano le 11 tracce dell’album. Una chiccheria.
Voto: 10
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