(Titanium Sound Factory 2009)
Le Viti di Titanio sono un gruppo napoletano con l’obiettivo, dichiarato, di unire la tradizione melodica e poetica italiana con le sonorità sperimentali di respiro più internazionale, tutto nell’ambito di un EP di sei pezzi dal titolo preso in prestito da James (Henry).
Ci saranno riusciti? Sulla carta, sì, sicuramente. Il tappeto sonoro messo giù dalla band, con l’aiuto di collaborazioni di nota quali Giovanni Imparato e Rodolfo Calandrelli, è di tutto rispetto. Ribolle di impazienza, incalza ma non s’impone mai, in questo caso citare Nick Cave & The Bad Seeds ha sicuramente un senso per la band napoletana. Così anche la produzione si mantiene sempre su un buon livello e li supporta egregiamente.
Peccato che fin da subito c’è qualcosa che proprio non va nell’economia del gruppo. A parte il fatto di aver sprecato un cd per cinquanta mega di press kit, vale a dire l’EP in mp3 a qualità infima, una manciata di file doc e un video live a malapena guardabile, che vabbè, passi. Ma francamente, è lo stile vocale che mi lascia alquanto perplesso, perché alle mie orecchie suona spesso fuori tono e discretamente sgradevole. E non parlo delle ricercatezze semi-prog italiano di Bambola di Porcellana (comunque uno dei pezzi migliori, nel suo ripetersi ossessionato del ritornello), ma proprio di un qualcosa che manca nei vocalizzi, non riuscendo mai a dare quel senso di pienezza che invece sia la musica che il songwriting trasmettono benissimo.
E questo a me sembra un gran peccato, perché è irritante dover parlare male delle Viti di Titanio, mi sembrano un gruppo molto ben preparato e attento a cercare un sound proprio e particolare, cosa che non si può dire di molti loro concorrenti. Insomma, sono il primo a sperare di risentirli presto, e meglio.
Voto: 6
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