(Trakwerks Records 2009)
Guidati da Jackson Del Rey (all’anagrafe Philip Drucker, già mente dei Savage Republic), i 17 Pygmies si formarono in un lontano giorno del 1982, dopo una jam session, svoltasi in un garage, tra il bandleader e due ex membri dei Radwaste, il tastierista/chitarrista Michael Kory e la batterista Debbie Spinelli (attiva anche nei Food & Shelter). Dal primo full lenght, “Jedda By The Sea” (1984) sono cambiate tante cose. In primo luogo, i componenti della formazione: del gruppo originario è rimasto il solo Del Rey. In secondo luogo, il sound: da un post-punk/synth-pop che non lesinava neppure ritmiche ballabili, siamo passati (attraverso la mediazione di “Ballade Of Tristram’s Last Harping” del 2007, ispirato alla psichedelia anni ’60 – ’70), ad un songwriting acustico, decisamente roots-oriented.
“The Outlaws J. D. Ray” è infatti una collezione di malinconiche ballad la cui tessitura oscilla tra folk, country e blues. Come il precedente “Celestina” (2008), ispirato ad un omonimo racconto spagnolo del XV secolo, anche in questo caso siamo di fronte ad un concept album: le undici tracce del disco raccontano la vicenda di tale J. D. Ray, ingiustamente accusato di un omicidio e da allora costretto a vivere come un fuorilegge.
Un tantino monotona dal punto di vista della scrittura (ma Agua Dulce, un lento blues dalle atmosfere western, e la tenera Captured In Amber sono due numeri da fuoriclasse), l’ultima fatica di Del Ray è però riscattata dagli arrangiamenti, scarni, minimali, finemente cesellati, e l’impeccabile esecuzione strumentale della band composta, oltre che da Del Rey (chitarra, tastiere, washboard, basso, percussioni e voce), da Meg Maryatt (chitarra, accordion, armonica, mandolino, banjo, tastiere e voce), Jeff Brenneman (chitarra) e Dirk Doucette (batteria e percussioni).
Insomma un buon lavoro, non imprescindibile, ma indubbiamente grazioso e suggestivo.
Voto: 6
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