The Beirut ‘In a place without name’


(Wild Love Records 2010)

Tra le prime produzioni della neonata Wild Love Records troviamo i redivivi The Beirut, già incrociati nel lontano 2003 quando ancora accasati presso la tarantina Psychotica, pace all’anima sua.
Tarantini anch’essi e attivi da inizio millennio, i Beirut non hanno mai fatto nulla per nascondere la propria fedeltà alla Chicago noisy ’90, e “In a place without name” altro non è che il loro nuovo atto di devozione a dio Albini e parentela.
Insomma, potenza e definizione, angoli non di 89 o di 91, ma di 90 (novanta) gradi. Lucidità totale, nei dettagli: drumming frenetico ma mai scomposto, chitarre che seducono arpeggiando e poi assassine e metalliche squarciano (un pizzico di Rapeman nella title-track?); un basso che governa impassibile, la voce che solo a tratti accumula e sfoga tensione (Forget it), essenzialmente si mantiene scarica e piatta, emo senza emo, emo abortito.
Potenza e melodia The Beirut, e ossessività, ascoltare Despeir or delight o la conclusiva Long times: ci girano intorno al vortice, ma dal buco si tengono a distanza di sicurezza. Riescono addirittura a mantenere il controllo e a rimettere in carreggiata, purtroppo, un pezzo come Noisy air conditioner la cui intro è puro Lizard sound. E io che mi stavo eccitando.
Registra Sacha Tilotta, Three Second Kiss, e masterizza Bob Weston. Davvero?!.

Voto: 5

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Autore: alealeale82@yahoo.it