John Tchicai Lunar Quartet ‘Look To The Neutrino’

(ZeroZeroJazz 2009)

Che piacere riascoltare John Tchicai! Uno dei vecchi leoni del free jazz internazionale torna in una produzione tutta italiana, grazie all’interessante etichetta padovana ZeroZeroJazz ed al suo ‘genius loci’, l’iperattivo batterista Enzo Carpentieri. Questo disco nasce da un incontro allo ZeroZeroJazz Festival ad Abano nel 2006, dove Tchicai aveva suonato in duo con il pianista Greg Burk e tenuto un seminario, ed ha preso forma nel corso di una successiva collaborazione nel 2008, quando Carpentieri, Tchicai e Burke, assieme al bassista Marc Abrams, iniziarono a registrare alcuni pezzi. Il Quartetto Lunare era nato. La prima impressione che riceviamo dall’ascolto è quella di una grande, gioiosa spontaneità, scaturigine di un feeling comune, di un amalgama immediatamente riuscito tra i membri del quartetto: in tal senso non inganni la scelta della brevità delle undici tracce (si va dai 3 ai 7 minuti al massimo), che potrebbe erroneamente far pensare a schemi precostituiti. Per il sassofonista afro-danese (classe 1936) gli anni sembrano non essere passati: il suo solismo mostra l’inventiva e la ricchezza espressiva dei bei tempi, stimolato senza dubbio dalla solidità degli altri tre strumentisti (Burk è un suo fedelissimo, Carpentieri uno dei migliori batteristi italiani e Abrams bassista scelto). Il risultato è un disco veramente interessante e godibile, frutto di esperienza ed entusiasmo, contraddistinto da una varietà di temi e colori che ci cattura e ci avvolge dall’inizio alla fine: dagli off-beat della title-track alla struttura classica tema-assolo di We Need Your Number, dal blues di Freedom alla salmodiante The White Balloon, introdotta da un recitativo a due voci, per proseguire con la scanzonata Afro Danish Form 6&7, in cui fa capolino uno stile improvvisativo piacevolmente nostalgico, il bel saggio collettivo costituito dalla roboante Muon, in cui il quartetto mette ulteriormente in luce la propria magica coesione, l’alternanza di morbidezza e spigolosità di Detour (che ha a tratti echi tayloriani), la bucolica ed impressionista Flute Calling, la lirica e notturna Lost Time e, per finire, la misteriosa ed orientaleggiante Tau, in cui arabeschi di flauto, profonde arcate di basso e puntillismi percussivi sembrano volerci lasciare con una domanda in attesa di risposta, che speriamo quanto mai prossima. Conclude l’album una ripresa di Look To The Neutrino, a mo’ di ritorno da un viaggio intergalattico con un solido bagaglio di nuove conoscenze.
Un disco vincente, dunque, una musica senza tempo, sospesa tra Europa ed America, tra tradizione ed innovazione, mai monotono o ripetitivo. La Luna è stata nuovamente conquistata.

Voto: 8

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Autore: belgravius@inwind.it