(Wallace Records/North Pole/Audioglobe 2010)
Da Portland, Oregon, Shane de Leon plasma il suo universo pop e ce ne rende partecipi.
I più non lo conosceranno. I più attenti lo individueranno come uno dei vecchi pilastri dei Rollerball, statunitensi più che ingiustamente misconosciuti e ormai da tempo presenti nel catalogo Wallace. I falchi saranno addirittura a conoscenza delle sue collaborazioni coi nostrani OvO, Ronin, Vonneuman e Jacopo Andreini. Io m’accontento di stare nel mezzo.
Giunto alla seconda prova sulla lunga distanza, Shane rivede gran parte della formula proposta nel precedente “Queen’s headache”, anno di grazia 2008: la stralunatezza viene filtrata, per quanto possibile, e i fantasmi restano in superficie: dentro, c’è posto solo per la melodia.
Con le dovute distanze, certo: a tratti nevrotica nelle intenzioni ma lineare, rilassata e diretta nella forma, e comunque sempre speziata di voci, quelle strumentali dei suoi numerosi compagni d’avventura, Bill Horist (Master Musicians Of Bukkake), Zacery Stanley, Jeanne Kennedy Crosby, Gilles (altro Rollerball), David e Caroline Chaparro. Un’abbondanza che non strazia ma sazia.
Un ponte spazio-temporale unisce il Regno Unito e San Francisco e il presente ai sixties. Un viaggio di 40 minuti in compagnia di Bowie e Bolan (Shock and awe, Happy birthday), Malkmus e soci (I do, An american), tutti a trovare Daniel Johnston per una visita di cortesia, ma non si arriva in tempo.
O forse era solo un pretesto per una bella scampagnata.
Voto: 7
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Autore: alealeale82@yahoo.it