(Full Time Hobby 2010)
Dopo aver dato alle stampe i primi tre dischi della loro carriera nel giro di meno di un tre anni, dal 2005 al 2007, ce ne hanno messi altri tre i Tunng per tornare a farsi vivi con un nuovo lavoro. Un lavoro meditato quindi per la band inglese, che ha voluto misurare bene gli ingredienti da inserire nella loro miscela di folktronica pop che li ha lanciati nell’empireo dei gruppi di maggior richiamo nel mondo alternativo internazionale.
La ricetta anche stavolta non varia di molto, ma quel che più salta all’orecchio di chi conosce le precedenti opere del collettivo britannico è forse la minore leggerezza, che lascia spazio ad una maggiore cura per i dettagli senza andare a discapito della melodia e dei divertissement elettronici, sempre coloriti ma forse un po’ più sfumati. Proprio come suggerisce la copertina del disco. Un tourbillon di colori dominati però da una intrinseca freddezza.
Eppure con l’iniziale Hustle sembra di essere tornati a casa dei soliti Mike Lindsay e Sam Genders, singolo che rilancia a suon di banjo e sole l’immagine calda dei nostri. Ma già con It Breaks si sente che qualcosa è cambiato: una accresciuta seriosità quasi medievale domina lungo tutto il dipanarsi della traccia. Don’t Look Back Or Down strizza lievemente l’occhio, soprattutto in apertura, all’algida giocosità degli Animal Collective, ma i coretti e i rumorini giocosi in sottofondo si ancorano nel pieno della tradizione Tunng. L’incedere meccanicamente soffuso di The Roadside ci catapulta in un mondo fiabesco prima che October ci porti ad una dimensione più stranamente legata ad un folk-pop tradizionale. Il vertice il disco lo raggiunge probabilmente con Sashimi, mix folktronico quasi robotico ma terribilmente accattivante. With Whiskey torna nella casa addolorata del folk tradizionale prima che con By Dusk They Were In The City, 5 minuti strumentali nei quali la band realizza un compendio folleggiante di synth e chitarre. Spiazza a seguire il flash quasi a cappella di These Winds, anche perché dietro l’angolo ad attendere c’è Santiago, carica di battiti e ritmi che fanno capolino e si intersecano dolcemente. Il finale è maestoso, con la suite Weekend Away, vera summa dell’intero disco e dell’intera carriera della band.
Disco di passaggio per i Tunng, che non aggiunge né toglie nulla ma anzi conferma il talento di un gruppo ormai solido ma che non si spinge oltre il compitino in questo caso. Dopo tre ottimi album, un po’ di stanchezza ci può stare, ma la sufficienza è ampiamente meritata.
Voto: 7
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