(Aut! Records 2010)
Cartone spesso, bianco/nero e senso d’urgenza.
Dentro, storie
grandi e piccine, percorsi collettivi, traiettorie individuali,
parole ed il loro senso (anche nell’assenza…), sudore, dedizione, a
dormir tardi ed alzarsi sempre troppo presto.
Questioni ordinarie,
di normale resistenza/rinascimento.
La ferocia dell’esserci e del
fare.
Continuo movimento.
Azione.
Kongrosian, son
gruppo di soli fiati, attivo dal 2006.
Jazz, senz’altro, sghembo,
squittente e traverso (poteva essere altrimenti?).
Che flirta con
inflessioni cameristiche, accenti afroamericani, si perde e si
ritrova.
Ma non abbandona mai, il puzzo tipico, benedetto e
caratteristico, di chi, quel che produce, lo vive in fiero
antagonismo.
L’arte dello scavo, la ricerca, ed il sudore
correlato.
Kongrosian, è azione/opera politica
spontanea.
Ecco allora naturale, il disgusto che sorge, alla vista
e all’ascolto, del jazz pastorizzato da quotidiano, da auditorium
patinato e parruccone.
“Bootstrap Paradox”, è
l’ennesima conferma, che la vita, oltre la spessa coltre di merda,
che galleggia in superficie, continua, e possiede, una fottuta voglia
di veder le stelle.
Alberto Collodel (clarinetto basso),
Davide Lorenzon (sax alto e tenore), Alessio Faraon
(tromba), Ivan Pilat (sax, tromba e voce), lo special guest,
Oreste Sabadin (clarinetto), son gli artefici di quest’ottimo
lavoro.
Un trio di base, Collodel, Lorenzon e Pilat, che diventa
quartetto, quintetto, scavando ed indagando criticamente, in studio e
dal vivo, fra le pieghe del proprio suono.
Ed il qui, ed ora,
ruspante e diretto, proposto in quest’occasione, diventa
irrinunciabile.
Santi, o matti, che bussan alle porte del
paradiso, senza ottener risposta.
Siam in Italia, più
matti, verrebbe da dire.
Seguirne le gesta, è un dovere
morale.
Una sinfonia di cervelli in subbuglio.
Altroché,
questa, è musica popolare.
Un disco della Madonna (più
chiaro in questo modo?).
Voto: 8
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