(Setola Di Maiale 2010)
Dimostrazione efficace, che il termine improvvisazione, può,
accordarsi alla perfezione, con il termine emozione.
Registrato,
durante il Time Zones Festival di Bari, nel 2008, “FreeFall”,
da una parte, ribadisce il concetto, che, i nostri musicisti, a
questo livello, avrebbero bisogno di maggior sostegno, pubblico e
privato (oculato e coraggioso).
Perché, ne più, ne
meno, questi son patrimoni nazionali, che non possono esser
dissipati.
Ma tant’è, abbiamo a che fare, con pelati bolsi,
che bollano opere, senza averne avuto assaggio, puramente, sul piano
ideologico.
Animano il conflitto, fra una cultura bassa (qualsiasi
cosa, vi venga in mente, in un palinsesto televisivo/editoriale…),
ed una cultura alta.
Pericolosa, certamente; poiché
militante.
Che mira ad alimentare le differenze, a porle, come
fattore di crescita necessario.
Che ha sviluppato una scorza
dura sopra la pelle, fatta di frustrazione e mancanza di sbocco
pubblico.
In questo senso, l’accostamento con Setola Di Maiale,
per un’opera del genere, non potrebbe essere migliore.
Perché
la comunanza, vien dettata, da una feroce pratica quotidiana, senza
insegne al neon, fari accesi ed intervistatori di turno (che non
hanno nulla da chiedere).
Lavoro, lavoro, ed ancora lavoro.
Che
produce, pane sudato e continuo movimento.
Che genera una
filiazione, quasi invisibile, impercettibile ma impetuosa.
Osservate
attentamente, i movimenti, che avvengono all’interno della scena
italiana.
Setola, è stata una delle prime, ad occuparsi di
materiali senza terra e senza destinatario certo.
Un laboratorio
appunto.
Poi nel tempo, altre, ne seguono l’ispirazione,
l’indicazione, El Gallo Rojo, Improvvisatore Involontario,
Amirani, tante altre realtà, più o meno piccole;
più o meno decentrate.
Strutture idealmente connesse, dalla
forte volontà espressa.
E prevediamo che, quando quei pochi
fari accesi, per stanchezza, o altro da fare nella vita, si
abbasseranno, queste realtà, saranno sempre presenti, con
altri nomi, con altre persone, ma sempre presenti.
E Setola, ed i
vari Gianni Lenoci e Marcello Magliocchi, staran ancora
battendo il ferro, senza sosta e senza tregua.
Questa è
politica attiva, altroché.
Il live in questione, include il
contrabbasso di Kent Carter, classe 1939, dal New
Hampshire.
Un tranquillo vecchietto, che ha avuto a che fare, con
gente del calibro di: Paul e Carla Bley, Michael
Mantler, Steve Lacy, Don Cherry, Gato Barbieri,
Alan Silva, Bobby Bradford, Max Roach, Derek
Bailey, Jazz Composers Orchestra, e Spontaneous Music
Ensemble.
I nostri, non son da meno, son soltanto nati, nel
paese sbagliato.
Le sei composizioni istantanee, son cartina di
tornasole emozionale, che riconcilia, con l’improvvisazione ed il
jazz in genere.
Luminosi dialoghi a tre, che rifulgono di mille
riverberi, l’Africa e L’Asia, che s’intercettano spesso, nei dialoghi
piano/batteria, scansioni stilistiche europee, negli intermezzi più
agitati.
Su tutto, l’inebriante sensazione, di aver a che fare,
con un classico.
Ed è esatto, perché, questi, son i
classici, con i quali si dovrebbe aver a che fare.
La limited
edition, a 60 copie, è frustrante in questo caso.
Una la
possiedo io, ne rimangono 59 a disposizione.
Muovetevi.
In
tutti i sensi.
Voto: 8
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