(Setola Di Maiale 2010)
Corde, acustiche ed elettriche, percussioni e carne cruda a
colazione.
Composizioni/improvvisazioni, feroci, scarne e
dirette.
Dove le indicazioni (in apparenza, sul principio,
chiare…), vengon addentate e digerite, con insolita energia.
Dico
Bailey, dico Hendrix, il blues e il free, le chiome
dell’Iriondo e del Cantù, intenti a spintonarsi
a gran manate.
Ecco, Pablo Montagne, di fondo, ha imparato
e dimenticato.
Cantando ad alta voce, le lodi al silenzio
circostante.
La conseguente applicazione, riserva spazio e cura,
per il tutto, e per il nulla.
Che l’elettricità
straripante, di certi numeri quasi metal, diventa, cosi facendo,
semplice emanazione acustica, della ruggine immancabile.
Ed in
fondo, di questi tempi, tutto, ma proprio tutto, par coperto da una
patina marroncina.
Ma nel paese del cazzo che siamo, grattando
grattando, sotto la scorza/sudario, rimarchiamo la necessità
assoluta, d’interpreti attuali (come Pablo, o l’altro setolare, M
Tabe), di linguaggi apparentemente immobili da troppo tempo
(l’accademia, la contemporanea, il far free, per darsi un
tono).
L’universo di riferimento, ha collassato da tempo, nessuno
se lo caga più, e la puzza sotto il naso nient’altro che
puzza vera è.
Capoccetta mia, ascolta Counting The
Roads, e appesa al muro, appare una Mr.
Tambourine Man, cionca e disossata, senza voce, e
null’altro da fare, che carezzare benevola, le macerie culturali
circostanti.
D’immobile, ci siam soltanto noi.
Pablo Montagne,
alla faccia nostra, corre lontano.
Voto: 8
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