Sun King ‘Prisoners of Rock’


(Udu Records 2010)

Buon vecchio rock’n’roll anni ’80. Di quello a base di riff spaccaossa di tre accordi (sempre gli stessi), ritornelli enfatici e sezione ritmica martellante, che non lesinava però neppure qualche ballatona strappalacrime, tanto per dimostrare che anche i duri hanno un cuore. Nonostante quell’epoca sia irrimediabilmente tramontata, spazzata via dall’avvento del grunge, qualche nostalgico di quel sound abrasivo e grezzo (ma in fondo sempre molto melodico) c’è ancora. I Sun King, ad esempio.
“Prisoners of Rock” raccoglie il meglio dei due precedenti album del quartetto marchigiano (“Project Czar: Ivan” del 2008 e “I. D. J. S.” uscito nel 2009) più tre inediti. L’ascolto delle undici tracce rivela come Ivan Perugini (voce e chitarra), Giacomo Pettinari (chitarra), Daniele Sincini (basso) e Roberto Tesei (che ha sostituito Stefano Casoni alla batteria) siano innamorati del sound di AC/DC, Cult e Guns ‘n Roses, senza dimenticare qualche puntatina in territori più heavy.
“Prisoners of Rock” è dunque una raccolta di canzoni senza fronzoli. Semplici, dirette, genuine, le composizioni del quartetto non brillano magari per originalità, ma risultano all’ascolto indubbiamente coinvolgenti e genuine. Turn me On sfodera un riff à la Angus Young (era “Back in Black”, 1980), Three Times Rock (uno degli inediti assieme a Your Love e A Sign) sta tra Guns (il timbro vocale di Perugini richiama alla mente il falsetto roco di Axl Rose) e Cult, mentre A Sign è una ballatona semi-acustica con tanto di archi ed assolo epico di chitarra elettrica. I Rock I Roll sfodera invece un riff degno dei Motörhead, mentre A Wave e I Just Want si spingono su territory heavy metal. E se la bluesy The Dance of Darkness nel riff omaggia esplicitamente Tie Your Mother Down dei Queen, Hippogriff ibrida in modo convincente Led Zeppelin e Deep Purple. La conclusiva Man of the Mountain ritorna invece su lidi heavy metal, strizzando l’occhio agli Iron Maiden.
In conclusione, un album che non cambierà di una virgola la storia del rock, ma che indubbiamente diverte e coinvolge. Merito di canzoni ben costruite, suonate da un ottimo gruppo di musicisti (cui va aggiunta Lucia Bordi, violino in A Sign) e prodotte (dallo stesso Perugini) in modo tale da non levigare troppo il sound rude del quartetto. Promossi.

Voto: 6

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