(Stop Records 2010)
Se vi siete sempre chiesti come suonerebbe una band post-rock/alt-rock se d’improvviso qualcuno staccasse la spina agli amplificatori e rubasse tutte le pedaliere, beh allora dovete proprio ascoltare questo omonimo disco dei Delay_House.
Progetto del produttore e musicista Fabio Celli (nel suo curriculum troviamo, tra le altre cose, collaborazioni con Cosmetic, Ich Bin Die SheiBe e Seminole), quest’album è stato infatti completamente realizzato utilizzando loop di chitarra e basso elettrici suonati spenti (ovvero senza che fossero collegati ad alcun amplificatore) e di una batteria acustica; il suono dei tre strumenti è stato poi processato con un digital delay. Le parti vocali, invece, esse sono state stravolte con l’ausilio di un pitch shifter. Il risultato è rappresentato da dieci tracce nelle quali del sound di Shellac, Mogway, Sigur Rós, Radiohead e My Bloody Valentine rimane soltanto lo “scheletro”. Celli s’è cimentato insomma in un’opera di “scarnificazione” sonora, tratteggiando così bozzetti dalle atmosfere plumbee, oscure, ipnotiche, sospese.
Esemplificative, al riguardo, Input/Output (con il basso ossessivo ed oscuro, inquietanti vocine sospirose, loop ritmici martellanti ed una chitarrina minimalista), le cadenze lente ed agonizzanti di L’Italia (cos’è questo se non slow-core ridotto ai minimi termini?), Ami (in cui il basso profondo ed i suoni della batteria, uniti ad un andamento ipnotico fanno pensare a sonorità trip-hop) o Alla Fine (lenta litania in cui, su un tappeto ritmico di loop chitarristici ed altri effetti elettronici, si stagliano i samples di un violoncello oscuro e delle voci eteree).
La struttura dei pezzi tende palesemente al minimalismo, vuoi per l’esclusivo impiego di loop, vuoi per i testi, anche se non siamo sicuri che sia corretto chiamarli così, dal momento che essi sono costituiti tendenzialmente da una sola frase (quando non addirittura un’unica parola) ripetuta più volte come una sorta di mantra.
Nonostante sia un lavoro interessante e per certi versi coraggioso, “Delay_House” difetta in varietà. È Indubbio che questi “scheletri” di canzoni esercitino un notevole fascino proprio per via del loro rifiuto delle regole tradizionali in fatto di arrangiamento; tuttavia ci pare altrettanto indubbio che Celli, puntando sull’appeal di questa veste esasperatamente minimal, abbia perduto qualcosa in termini di imprevedibilità. Alcune tracce, infatti, passano inosservate proprio perché non presentano elementi o spunti tali da distinguerle da talune altre.
Ad ogni modo Delay_House è uno di quei progetti che meritano di essere seguiti con attenzione: le potenzialità per realizzare, in futuro, dischi sempre più interessanti ci sono tutte.
Voto: 7
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