(Red Birds/Promorama 2010)
Cover suggestiva: una mano scheletrica che regge una carta (un asso di picche) in fiamme e, sullo sfondo, un’auto parcheggiata in una stradina male illuminata. Ancora meglio fa la quarta di copertina: accanto ai credits dell’album si staglia il disegno di una figura (sempre disegnata) scheletrica che tra i denti stringe una sigaretta e nella mano sinistra una pistola fumante. Anche sul retro della custodia dell’album compare il disegno di un non-morto, così come un teschio stilizzato è raffigurato sul CD.
Se ci siamo soffermati su questi particolari un motivo c’è. L’insistenza su questa iconografia mortuaria è indicativa dell’umore che si respira in “Coffee & Cigarette Club” e della sua genesi. Perché Davide Delmonte, alias Happy Skeleton (guarda un po’…), in questo suo album di debutto per la Red Birds propone undici quadretti di solitudine, angoscia e dolore, frutto indubbiamente dell’esperienza che ha preceduto la realizzazione dell’album: un terribile incidente automobilistico da cui il cantautore è uscito per fortuna illeso. Ecco dunque spiegato il significato della cover: con quell’immagine (realizzata dal disegnatore Valerio Pastore) «ho voluto richiamare in maniera simbolica il tema dell’incidente e della successiva scommessa con il destino che mi ha portato alla realizzazione del cd stesso».
Dal punto di vista musicale, “Coffee & Cigarette Club” (titolo ispirato al film di Jim Jarmusch del 2003 “Coffee and Cigarettes”) è debitore dell’alt-rock anni ’90 (Radiohead), del post-rock (Slint) del grunge (Smashing Pumpkins, Nirvana) e del noise, anche se non mancano spunti trip-hop (come in La Rouge, episodio comunque marginale).
Il risultato è un album magari a tratti un po’ acerbo, ma sicuramente intrigante. Tracce come Ann, Revolution Isn’t Here (una delicata melodia à la Corgan squassata, nel ritornello, da esplosioni chitarristiche ed impreziosita da un’emozionante crescendo finale), When the Fish Was a Flower (giocata su un riff di chitarra sghembo e un giro di basso cupo e minaccioso, mentre il refrain ammicca palesemente ai Nirvana) o 32 Noir (brano di ispirazione post-rock) rivelano una buona capacità melodica e di costruzione dei brani; soprattutto, però, sono indicative di un’impellente urgenza comunicativa e di un malessere esistenziale che non si esprime solo nelle liriche (ultra-depresse) ma anche in un cantato anemico, paradossalmente privo di vitalità anche quando cresce di intensità. Di La Rouge abbiamo già anticipato qualcosa. Si tratta del brano “trip-hop” del disco. L’attacco vede beat e folate di rumori elettronici intrecciarsi per dar vita al fondale su cui si stagliano rarefatti e liquidi tocchi di chitarra; ad un tratto, però, il ritmo rallenta, le note di basso si allungano ed il cantante intona una litania cupa, ipnotica ed inquietante: nel finale, il ritmo riprende quota, dimostrando la propensione di Delmonte per strutture articolate.
Più riusciti, tuttavia, sono brani come Toxic Park (nenia degna di un aspirante suicida impreziosita da una chitarra che tratteggia vortici psych-noise), You and Me (una ballad in cui la melodia è squassata da sei corde sature), Smoking Cigarettes (agonizzante confessione notturna) e la conclusiva There Is No Reset to Me, altro pezzo sperimentale, in cui però, il connubio tra rock ed elettronica ci sembra più riuscito che in La Rouge.
Delmonte, impegnato al canto, alle chitarre elettriche, alle tastiere e alla drum machine, ha registrato il disco con l’aiuto dei Brilliants at Breakfast Mauro Cassarà (batteria) e Giuseppe D’Angelo (basso, membro anche degli Hank!) e soprattutto del leader dei Blessed Child Opera Paolo Messere (chitarra acustica, synth, tastiere). Prodotto dagli stessi Messere e Delmonte, “Coffee & Cigarette Club”, pur con qualche imperfezione, è un disco intrigante, genuino, che rivela un musicista sicuramente dotato di personalità. Da tenere sott’occhio.
Voto: 7
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