(Théâtre de la Mort 08 2010)
Gothic (ex Cryptic Sanctum) è il progetto di James Jason. Attivo sin dal 1989, anno di pubblicazione di “Into the Gothic Gloom”, il nostro ha collezionato, fino al 2000, altri nove demo, sempre all’insegna di un mix di trash, gothic e doom metal, ma senza trascurare innesti hardcore o sintetici. A partire dal 2001, la svolta: Jason decide di abbandonare il tradizionale formato dell’LP per realizzare «tre mastodontici lavori multimediali ufficiali». Esce così nel 2004 “Grim”, composto da un doppio disco (all’insegna stavolta di sonorità tra dark-wave, electro-goth, trance-core, EBM e IDM) e da un CD-R con dipinti, poesie, un video ed una introduzione multimediale. Il passaggio successivo è l'”Anti-Box” (2007), progetto articolato in quattro CD (che raccolgono materiale contenuto in alcuni dei precedenti demo dei Gothic, più un paio di remix e di inediti) e due DVD, in cui veniva ripercorsa la storia dei Gothic ricorrendo sempre ad un approccio multimediale, basato cioè sulla mescolanze di testo, musica ed immagini.
“Clam, Dolenter” è il terzo lavoro di questa seconda fase della carriera dei Jason e l’ambizione è smisurata: il progetto viene presentato come «rivoluzionario», un tentativo di dar vita ad una forma di arte “totale”, in cui musica, poesia, pittura, scultura, collage e video si fondono, per altro prestandosi non ad una fruizione passiva, ma ad una interazione con l’utente (come altro definirlo?). Vediamo di spiegarci meglio. Il DVD che costituisce l’opera contiene al suo interno un software da installare, accedendo al quale si entra in un’ambiente virtuale tutto da esplorare: il “visitatore”, muovendosi in questa specie di lussuosa dimora abbandonata, potrà accedere a cinque livelli (sotterraneo, piano terra, primo piano, secondo piano e attico) e, selezionando col puntatore del mouse alcuni elementi cliccabili, potrà scoprire ed ascoltare i 26 bozzetti multimediali di cui si compone il progetto, pièce in cui suoni, immagini (sotto forma di pittura, scultura e collage ma anche di corti di videoarte) e parole formano un tutt’uno indivisibile.
Il punto è che sebbene il progetto sulla carta sia più che interessante la sua realizzazione lascia alquanto a desiderare. L’ambiente virtuale creato per l’occasione dal lavoro congiunto di David Bosch, John Ruin e Antonello Scalmato (e che ricalca vagamente certe avventure grafiche, cosiddette “punta-e-clicca”), graficamente è assai dozzinale: l’esplorazione dell’antica magione si rivela alla lunga non solo noiosa, data la scarsa varietà del paesaggio e la limitatezza delle azioni possibili (in fondo, si tratta sempre di cliccare su porte e porticine, dietro alcune delle quali si celano i “tesori”, ovvero i frammenti multimediali), ma addirittura frustrante (la nostra capacità di movimento è assai impacciata ed il rischio di girare a vuoto sempre dietro l’angolo). Tralasciando i video (alcuni dei quali davvero kitch), girati quasi tutti da Jason con qualche apporto di Ruin e Scalmato, e i dipinti, le sculture e i collages realizzati da Bosch (sicuramente non memorabili), va detto che anche musica è tutt’altro che rivoluzionaria: si tratta tendenzialmente di strumentali contesi tra elettronica (techno, trance, EBM) e doom metal che, nonostante le pretese avanguardistiche (non mancano, infatti, spunti “classicheggianti” e liriche criptiche, oscure), non riescono ad impressionare come vorrebbero.
L’ambizione di Jason (autore di tutto il materiale musicale con qualche occasionale contribuito di Davy Jones, impegnato anche alla chitarra solista) di creare un prodotto multimediale basato su un concept affascinante (l’ambiente virtuale come «realtà mentale governata dalle paure dell’inconscio», in cui il dolore che «si annida più in profondità in alcune stanze piuttosto che in altre» è un «dolore nascosto pronto ad esplodere e a divorare ogni cosa») merita sicuramente rispetto e considerazione. Tuttavia, non possiamo nascondere come il gioco (in tutti i sensi) non sia riuscito alla perfezione.
Voto: 5
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